autore: RED
Storia di un impiegato esce in un decennio "caldo" (a grandi linee quello che va dal 1968 al 1977) in cui la musica era uno dei mezzi
principali che permettevano alle classi operaie e studentesche di trovare un "sostegno morale", diciamo cosi', per i loro movimenti di protesta e in cui le canzoni avevano moltissimo valore simbolico e non
solo.
Molti cantautori, in quanto persone solitamente libere da legami con il potere sostenevano spesso questi movimenti con le stesse parole, gli stessi gesti e le stesse ragioni dei proletari, è il caso di Guccini,
Pietrangeli, Lolli e molti altri.
Fabrizio De Andre' aveva da farsi perdonare agli occhi dei militanti più estremisti lo "sgarro" della Buona Novella. O piuttosto, doveva schierarsi ancora pubblicamente da
una parte o da un'altra, nonostante l'avesse in pratica già fatto riportando alla luce il verbo di pace di Cristo, considerato da lui stesso un grandissimo rivoluzionario, ma non considerato tale, per ovvi motivi, da
molti operai e studenti.
E' sufficente la Canzone del Maggio, che segue l'Introduzione, inizio musicale di un disco molto innovativo in quanto a suoni e arrangiamenti, a far tirare un sospiro di sollievo a quelle
persone che, non troppo attente agli argomenti trattati da Fabrizio, temevano che dietro quella figura di cantautore ricco e schivo si nascondesse un non meglio identificato borghese complice dei padroni.
Riprendendo un
canto degli studenti del Maggio francese, che per primi diedero voce alle proteste studentesche, De Andre' ricorda che i veri nemici del cambiamento non sono solamente i poliziotti od i padroni, bensì tutti quelli che, pur
potendo partecipare agli scontri di piazza, hanno preferito rimanersene in casa ed hanno contribuito alla sconfitta dei manifestanti stessi.
"Per quanto voi vi credete assolti siete lo stesso coinvolti" e'
una delle strofe del brano rimaste "storiche", e viene urlata dagli stessi studenti che, pur sconfitti, minacciano di tornare di nuovo in piazza, finchè il cambiamento non sarà avvenuto.
Questa canzone è una
sorta di introduzione a quello che poi e' chiaramente un "concept-album" (disco cioe' in cui tutte le canzoni sono legate fra di loro come i capitoli di un romanzo)
Il protagonista è un impiegato
trentenne, dedito come molti lavoratori della sua categoria, molto più alle piccole faccende quotidiane e familiari che ad una visione più ampia degli infiniti sentieri della vita. Ascoltando il brano studentesco cinque anni
dopo le lotte, tuttavia, l'impiegato, nel brano "La bomba in testa" comincia a chiedersi per quale motivo dei ragazzi poco più giovani di lui, invece di adagiarsi in una vita costellata di frasi fatte
("Grazie a Dio", "Buon Natale") e di posto di lavoro sicuro, si siano lanciati in una rivolta così feroce e, quasi certamente, condannata alla sconfitta.
Si rende conto, quindi, di trovarsi a far
parte di quella schiera di persone che gli studenti combattevano, inchiodato al suo piccolo mondo borghese e alla sua vigliaccheria, dovuta alla sottomissione automatica che il potere impone quando tu lo accetti.
E proprio
quando la sua età e le sue abitudini lo potevano completamente mettere fuori gioco, si accorge di avere la forza per ribellarsi al potere stesso anche adesso che le rivolte studentesche sono finite, e comincia ad immaginare un
modo per farlo, e per "farcela da solo".
E comincia a sognare; un sogno che si articola in tre brani di grande atmosfera, in cui l'impiegato "cataloga" i vari tipi di potere, da quello borghese a
quello paterno, fino a quello ufficiale della magistratura, trovando un filo che li unisce tutti quanti.
Dapprima sogna di mettere una bomba in un ballo mascherato dove sono radunati tutti quei personaggi che, nella
storia, hanno simboleggiato un potere, una bandiera, un'ideale. Chiaramente dietro questi personaggi si possono scorgere delle "figure ombra" del potere di quel periodo, ma il senso dell'accusa rimane comunque
immutato al di la' dei singoli uomini.
C'è Cristo "drogato da troppe sconfitte", costretto a rappresentare adesso proprio quella classe clericale ricca ed egoista che con le sue idee avrebbe invece
voluto combattere, e sua madre Maria, offuscata dall'importanza di un figlio cosi' glorioso e che rimpiange quando era incinta come tutte le madri normali. C'è Dante Alighieri, il sommo poeta, che, forse per
invidia, vorrebbe trasformare un amore normalissimo come quello di Paolo e Francesca in un chissà cosa di straordinario.
La bomba dell'impiegato normalizza, la bomba rende tutti uguali, distrugge allo stesso modo i
ricchi e gli illusi, i perdenti e i vanitosi. La bomba è imparziale, trancia odi e amori, speranze e rimpianti, vanità e invidia.
Così come esplodono i vezzi della Statua della Liberta', che dallo specchio voleva
conferme alla sua bellezza e agli ideali che crede, sbagliando, di rappresentare. Al ballo non manca nemmeno l'ammiraglio Nelson, fiero condottiero colonialista e impavido che portò il suo esercito al trionfo di Trafalgar
rimanendo però ucciso nella battaglia. Quale allegoria più spietata per condannare l'assurdità della guerra?
Ci sono poi il padre e la madre dell'impiegato, le prime figure di potere che incontriamo nella nostra vita
e che, magari a scapito del figlio, fanno di tutto per soddisfare i propri bisogni personali, sia materiali che psicologici credendo di fare il bene dell'erede e rovinandogli invece la vita. Anche loro esploderanno,
liberando il figlio dalla loro autorità.
Per ultimo esplode l'amico che ha insegnato all'impiegato l'arte della bomba. Qui viene alla luce il punto più alto di individualismo, quella libertà assoluta che,
per essere completa, non deve sopportare remore di nessun tipo e non deve ringraziare nessuno.
Ed e', Storia di un impiegato, fondamentalmente il disco di un individualista sconfitto. L'azione solitaria, la
vendetta solitaria, tutto viene visto in funzione della liberazione da tutto, perche' tutto e' potere, padroni, amici, poliziotti e genitori. Questa vendetta cieca verso il potere
altro non è che un ultimo disperato
sfogo di un uomo solo e fragile (aggettivo che De Andre' ci riproporra' anni dopo in un contesto forse piu' vicino a questo di quanto possa sembrare) ed incatenato per anni, senza accorgersene, ai voleri di chi sta
sopra di lui.
Ma l'illusione dell'impiegato durera' poco. Infatti nel successivo brano, Sogno numero due, un parlato quasi psichedelico in cui la voce di De Andrè riecheggia come uno sparo nel buio, la voce
narrante è quella di un giudice. L'impiegato è stato infatti scoperto, e ora crede che ad attenderlo ci sia una pena terribile.
Scopre invece, attraverso le parole del giudice, che il potere gli è grato per quella
bomba, perché il potere si deve sempre rinnovare, non può rimanere molto tempo nelle stesse mani, e, distruggendo una parte di esso con la bomba al ballo, l'impiegato entra automaticamente a far parte del potere stesso che
credeva di annientare.
Lui con la bomba ha "assolto e condannato" al di sopra del giudice stesso che ora gli parla, e può decidere autonomamente la sentenza che lo riguarda.
Ecco il potere, quindi, che si
dimostra quasi invincibile ed estraneo alle singole persone: se ti ribelli, non ha problemi a prenderti nelle sue fila, se pensi di colpirlo, lo hai invece aiutato.
Il passaggio al brano successivo, Canzone del padre,
lascia spazio a molti interrogativi che, ovviamente, solo De Andre' potrebbe spiegare a pieno.
L'impiegato probabilmente è in una fase di confusione mentale, il sogno gli sta rivelando quella che poi si dimostrerà
essere la cruda verità di cui sopra: il potere non può essere sconfitto, è troppo grande e radicato, tutt' al più si può entrare a farne parte fino a quando lui decidera' che va bene.
Difatti l'impiegato
prende il posto del suo stesso padre, entra in un gradino di mezzo della piramide del comando, rappresentata nel brano da un ponte da cui vedrà sia delle navi piccole che potrà indirizzare a piacere, sia delle navi grandi che
"sanno già dove andare". La metafora e' fin troppo chiara: sei entrato nel potere ed hai qualcuno da comandare, ma avrai sempre anche qualcuno che ti comandera'.
L'impiegato si accorge di come
la vita del padre di famiglia sia piena di frustrazioni. Osserva Berto, amico dei tempi della scuola, che vede la madre lavandaia morire, e la seppellisce in mezzo alle lavatrici, macchine moderne che consentono alla classe
borghese di evitare proprio la professione della mamma di Berto che, stanco e stremato, si lascia sopraffare dalla pioggia, senza fede ne speranza, e, come ogni poveraccio, viene liquidato dai giornali come "morto
arrugginito".
Dalla posizione del padre, poi, l'impiegato puo' vedere quanto sia snervante una vita sempre uguale, fra crisi di coppia e conti in banca che piangono.
La moglie è sempre più distante da
come l'aveva conosciuta, il figlio, disperato come e piu' del padre, prende la via della droga e si lascia morire, senza la preoccupazione di rialzarsi. Anche la famiglia, piccola costruzione gerarchica, e' quindi
un fallimento e non puo' costituire un ancora di salvezza per chi cerca di liberarsi dal potere.
L'impiegato, a questo punto, si sveglia. E' sudato, ma ha le idee più chiare. Prima della fine del sogno si è
rivolto idealmente al giudice attaccandolo ("Vostro onore sei un figlio di troia") e, finalmente nella realtà, lancia il guanto della sfida al potere: "Ci vedremo davvero, io ricomincio da capo."
Il
brano successivo è Il Bombarolo, ballata che riprende la parte musicale iniziale del disco. L'impiegato ha capito che il suo vero obiettivo non deve essere un semplice ballo dell'alta borghesia, bensì il Parlamento,
luogo dove il potere esercita materialmente il proprio ruolo.
Prima di far esplodere la bomba, l'impiegato si esprime contro diverse categorie di persone che avverserebbero il suo gesto. Innanzitutto gli impiegati come
lui, quelli che si sono piegati alla vita comoda e a cui va bene che il potere decida al posto loro. Poi gli intellettuali, che con acrobazie improbabili cercano una via di cambiamento ormai da quando sono nati come categoria,
senza decidersi, in pratica, ad affrontare alcuna azione materiale.
In seguito la minaccia agli stessi soci vitalizi del potere, che sono latitanti ancor prima dell'impiegato stesso: lui lo sarà dopo la bomba per la
legge, loro lo sono adesso che stanno per morire.
Da notare che l'impiegato stesso si definisce un "trentenne disperato", ed arrivi a questo gesto come ad un ultima, estrema mossa per cercare di salvarsi,
conscio già, forse, di non poterci riuscire.
Purtroppo per lui la sua abilità dinamitarda rimane nel sogno, e, invece del Parlamento, ad esplodere è un innocua edicola. Questo è il momento di maggiore disperazione
dell'impiegato, a questo punto capisce di non avere scampo, di avere fallito totalmente, e, nei giornali dell'edicola che salta in aria, gli sembra di scorgere l'immagine della sua donna che, contrariata dalle sue
gesta folli, lo lascia solo, disperato, avvilito, distrutto.
E, dal carcere, l'impiegato si rivolge a lei, in una sorta di preghiera d'amore che ripercorre tutta la loro storia. Il sentimento è passato anche
sopra le incomprensioni di carattere ideologico, ed è un qualcosa di troppo personale e complicato da raccontare ("un amore così lungo tu non darglielo in fretta"). Nella canzone c'è anche molta amarezza, per come
la donna amata non abbia resistito al richiamo della società borghese, concedendosi, ora che l'impiegato è in carcere, al primo uomo che la mantenesse.
In fin dei conti la canzone è facilmente riassumibile negli
ultimi versi delle strofe in cui l'impiegato ammette che, nonostante l'amore reciproco, nessuna delle due personalità è cambiata e, dopo che lui è finito in carcere, la donna si è "fatta scegliere" da quel
potere che l'impiegato ha cercato, invano, di distruggere. Due modi diversi di schierarsi e, inevitabilmente, una fine diversa.
L'ultima canzone del disco, Nella mia ora di libertà, l'impiegato racconta il
carcere, negazione massima della libertà secondo il pensiero comune.
Eppure anche la prigione è una piccola metafora del mondo: i secondini sono il potere, i carcerati le vittime che dovrebbero subire in silenzio.
E
diventa più che mai simbolica quell'ora d'aria in cui i secondi possono evitare il rapporto con i primi, "chiudendoli" a loro volta metaforicamente dentro il carcere ("di respirare la stessa aria di un
secondino non mi va").
L'individualismo, sconfitto dai fatti, viene sostituito a questo punto da una nuova forma di lotta, la rivolta di massa, la stessa degli studenti del Maggio francese che apriva il disco,
la stessa che mise l'impiegato nella condizione di guardarsi intorno e capire "che non ci sono poteri buoni".
Il termine di questo bellissimo disco sembra comunque l'invito, ancora una volta, nonostante
tutto, a tentare la rivoluzione di massa che ha ispirato, più di tutti, l'ideale comunista: i carcerati, tutti insieme, si ribellano ai secondini. Nonostante il potere abbia dimostrato all'impiegato la propria forza,
lui non riesce comunque a chinare la testa e ad arrendersi.
Il disco si conclude come si era aperto: con i versi più significativi della Canzone del Maggio.
"Per quanto voi vi crediate assolti
siete per sempre
coinvolti"
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UN ALTRO THREAD
titolo originale: INTERVISTA AD UN IMPIEGATO (DIVAGAZIONE)
inviato il 25 Ottobre 2000
autore: DAMIANO DELLEDONNE
Entra nella stanza celeste, è alto, porta una giacca grigia su una polo nera. Grigi i pantaloni.
I suoi cinquantasei anni gli hanno brizzolato i capelli, tenuti corti, lo sguardo ora è
sereno.
L'altro uomo porta la barba lunga, ha lineamenti stanchi e capelli di neve che solleticano le spalle. Ha una camicia bianca dalle maniche rimboccate, mentre il resto del corpo è nascosto da una scrivania in
ciliegio provata da quintali di fogli.
L'uomo seduto è il primo ad aprire bocca, deve essere un intervistatore o qualcosa del genere.
-Scusi il disordine.
-Io scuso, ma le ci si trova?
-Non molto. Le va di
parlare della sua esperienza?
-Sono qui apposta.
-Già, allora... (cerca un foglio sulla scrivania, lo trova alla terza imprecazione) perché un trentenne decide da un giorno all'altro di salutare il lavoro per tirare
un bomba al parlamento?
-Citando una vecchia canzone: per vedere l'effetto che fa.
-Scusi?
-Ehhh, la pazienza ha un limite. La mia misura era colma.
-Che periodo è stato quello in cui ha deciso di mettere la
bomba?
-Un periodo senz'altro travagliato. Travagliato d'insonnia e d'incubi, d'immedesimazioni e di droga. La droga (io prendevo l'LSD) ti mette le ali, ma ti deprime in down spaventosi. Se non ci stai
attento ne prendi sempre di più per restare su di giri fino a che non ti trovi legato. Mio fratello minore ne è morto.
- L'ho conosciuto.
-Davvero?
-Sì, ma continui pure...
-Dicevo un po' la droga, un
po' l'insoddisfazione e mi sono illuso di risolvere tutti i miei problemi con una bomba; come un novello Alessandro Magno che dinanzi all'enigma del nodo di Gordio decide di scioglierlo con un baleno di
spada.
-Che sognava?
-No ricordo molto bene. Mi sembrava di essere ad un ballo con persone mascherate di ipocrisia. Volevo distruggerle, a mo' di Julien Sorel.
Solo che per lui la passione era il fuoco e la ragione
il modo per farlo divampare, per me l'esatto contrario: la ragione era il motore iniziale che si sfogava in passione.
-Oggi lo rifarebbe?
-Un atto terrorista? No. E non tanto perché consideri sbagliato tirare una
bomba al posto giusto o uccidere un figlio di puttana che lo meriti. Sbagliato se mai è non assumersi le proprie responsabilità dopo aver fatto quel gesto. Più che altro ora ho capito che il Potere, e si immagini quello delle
multinazionali, non ha un centro, e quindi neppure un cuore vulnerabile. Non si cambia il sistema economico mondiale ammazzando un poveretto che esce di casa al mattino per andare al lavoro. Mi riferisco
al sindacalista di
Roma. E poi sfido chiunque a portarmi quel figlio di puttana che vale la pena di essere ucciso ed a trovarmi il posto dove mettere la bomba.
-Come si definisce politicamente?
-Boh, leggo, mi faccio qualche idea. Alcune le
conservo, altre vengono distrutte dal tempo. Individualista? Anarchico?
Forse; se quelle due paroline significano pensare ciò che si vuole.
-Però lei in carcere ha partecipato a rivolte comuniste?
-Sa,
l'accento è sempre caduto sulla collettività della rivolta anche per colpa di alcuni giornalisti (e di un certo Bentivoglio in particolare).
Ma è ovvio che se tante persone, in condizioni disastrose, hanno finalità
uguali si uniscono per lottare.
Io invece vorrei sottolineare le ragioni della rivolta che ognuno ha maturato dentro di sé nei propri dieci metri quadrati scarsi
-In amore come le è andata?
-Poteva andarmi peggio. Ho
amato e sono stato amato. La mia ragazza dopo la faccenda della bomba è stata sbattuta sulle prime pagine, non so se devo scusarmi io o è lei che mi deve ringraziare; la notorietà la fatta contenta.
Mi resta comunque arduo
capire la voglia di mettere in vetrina i propri sentimenti su una strada battuta da tutti, che è poi la televisione.
Anche la mia ex-DolceMetà non si è voluta esimersi da questo stupido rituale.
Oggi è ancora
peggio; se uno si fa gli affari propri, viene apostrofato come un misantropo.
...
-Ed ora dove vado?
-Bah, vada ai piani bassi. La sua casa è la 24. Prima però passi dal principale che la vuole conoscere. Sta al piano
più alto. Lei è diventato una celebrità da un anno e mezzo a questa parte dopo l'arrivo del De André che ci ha cantato la storia del principale, appunto, e poi anche la sua. Su, prenda la funivia, non sia timido.
E
il viaggio all'inferno ora fallo da solo...
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UN ALTRO THREAD autori LEON RAVASI LUCIA CAMERINI FRANCO SENIA
titolo originale:
LA STORIA DEL SOGNO DI UN IMPIEGATO
NOTE:
da Leon Ravasi - Lucia Camerini, in un arco di tempo che va dal 8 dicembre 2000 al 17 gennaio 2000 e in fondo relativo adattamento cinematografico di Franco Senia del 9
dicembre 2000
========================== (prima parte)
Buio in scena. Parte la musica. Al primo colpo orchestrale luce. Poi alternanza luce/buio, in sintonia con le fasi musicali. Una stanza. Un uomo in un angolo,
nell'angolo sinistro per chi guarda, seduto a un tavolino. Luce accesa sul tavolino. Una piccola luce, lampada da tavolo. Sul tavolo una collezione di francobolli. Alle sue spalle, sullo sfondo, si accendono diapositive di
immagini note del maggio francese e/o italiano.
Accompagnano il celebre cantato:
INTRODUZIONE
"Lottavano così come si gioca
i cuccioli del maggio era normale
loro avevano il tempo anche per la
galera
ad aspettarli fuori rimaneva
la stessa rabbia la stessa primavera..."
L'impiegato continua a contare i denti ai francobolli, mentre, in linea
col suono delle armoniche, si alza la luce nel lato
destro del palco.
interno borghese. Salotto. L'uomo (il padre) legge, la donna (la madre) si
trucca allo specchio. Sirene e rumori da fuori. Dietro il fondale,
retroilluminato, passano ombre in rapida corsa. In
primo piano, come al solito, non succede nulla.
CANZONE DEL MAGGIO
Anche se il nostro maggio
ha fatto a meno del vostro coraggio
se la paura di guardare
vi ha fatto chinare il mento
se il fuoco ha
risparmiato
le vostre millecento
anche se voi vi credete assolti
siete lo stesso coinvolti.
Padre - Li senti?
Madre - Mmm
Padre - Coinvolti? In che? In cosa dovremmo essere coinvolti...
Madre - Caro,
non parlavano di te. Dicevano "la vostra millecento", non la vostra Mercedes, no?
Padre - Io non ho paura! E' chiaro? Non ho paura di niente e di nessuno.
Ho fatto la guerra, io! Ho messo su famiglia e
impresa. Ho un ruolo in societa'. Dovrei aver paura di quattro scalzacani dai lunghi capelli?
Madre - Non t'arrabbiare. E soprattutto non urlare che mi fai sbavare il rimmel!
E se vi siete detti
non sta
succedendo niente,
le fabbriche riapriranno,
arresteranno qualche studente
convinti che fosse un gioco
a cui avremmo giocato poco
provate pure a credervi assolti
siete lo stesso coinvolti.
Padre - Su
questo ci puoi girare! Non arresteranno "qualche studente".
Li arresteranno tutti! E le fabbriche non chiuderanno certo per voi. Gli operai non vi seguono, capite? N-O-N V-I S-E-G-U-O-N-O.
Madre -
Tra un po' nont i seguiro' piu' nemmeno io! Come vuoi che ti sentano, anche se urli? Porte chiuse, scontri con la polizia, slogan dei cortei e tu pretendi che ti sentano? Vuoi un te', piuttosto?
Padre - Mmm
si', dai. E .. senti Berto e' ancora di la' o e' andato via?
Madre - No, e' tornato in portineria.
Padre - Lo sai che non piace che il ragazzo frequenti certa gente ...
Adesso che si e' trovato
un lavoro, ancora meno.
Madre - Ma dai, non fa niente di male. Dopo tanto studiare ... dopo il lavoro ... Sono giovani dai', lasciamoli in pace.
Colpi alla porta. Urla. "Aprite, aprite. Per favore aprite!"
In controluce sullo sfondo qualcuno che bussa disperatamente. Viene raggiunto da due poliziotti, buttato a terra e manganellato.
Padre - (calmo e reggendo in mano la sua tazza di te') Non sta succedendo
niente!
Anche se avete chiuso
le vostre porte sul nostro muso
la notte che le "pantere"
ci mordevano il sedere
lasciandoci in buonafede
massacrare sui marciapiede
anche se ora ve ne
fregate,
voi quella notte voi c'eravate.
E se nei vostri quartieri
tutto è rimasto come ieri,
senza le barricate
senza feriti, senza granate,
se avete preso per buone
le "verità" della
televisione
anche se allora vi siete assolti
siete lo stesso coinvolti.
Padre - Cara, potresti accendere la televisione? Maledetto 1973 che non hanno ancora inventato il telecomando! Ho voglia di sentirmi giusto un
po' di "verita' della televisione".
Madre - ma dicono sempre le stesse cose!
Padre - (guardandola per la prima volta, preoccupato) Non ti starai facendo coinvolgere anche tu?
Madre - Beh, devo dire
che un po' di pieta' me la fanno. Poi, forse non hanno neanche tutti i torti
Padre - (irritato, scagliando per terra il giornale) Ah, bene. Anche questa! Portare l'attacco al cuore della casa! Adesso ci manca che
attacchi il ragazzo! Ah, ma questa non gliela perdonerei di sicuro. Che fa? Che sta facendo?
Madre - Mah e' sempre li' coi francobolli. Non e' che si stia un po' rincretinendo? Non farebbe meglio a trovarsi
una donna?
Padre - Moglie! Stai tranquilla che il tempo delle donne verra'. Se fara' come suo padre avra' tempo per togliersi soddisfazioni!
Madre - Nel senso? Che ancora te le togli?
Padre - Oh, insomma!
Adesso basta! Questa conversazione sta prendendo una piega che non mi piace. Sara' colpa di tutta questa contestazione ...
Forse avremmo dovuto votare per lui ....
E se credete ora
che tutto sia come
prima
perché avete votato ancora
la sicurezza, la disciplina,
convinti di allontanare
la paura di cambiare
verremo ancora alle vostre porte
e grideremo ancora più forte
per quanto voi vi crediate
assolti
siete per sempre coinvolti,
per quanto voi vi crediate assolti
siete per sempre coinvolti.
(sirene, urla, slogan di piazza, gradatamente a sfumare. Quando si e' fatto silenzio il padre si alza) Padre
- Bene', direi che si e' fatta l'ora. Andiamo a teatro? Ricordati
che poi siamo a cena dal signor questore. Fatti vedere. Ti sei fatta bella,
eh?
Andiamo signora, mi concede l'onore di invitarla?
Ragazzo? Noi usciamo.
Non aspettarci.
Madre - Mi raccomando (escono)
Ragazzo - (dal buio) Buon Natale!
(si spegne la luce) (si riaccende sul tavolino dell'impiegato che continua a sistemare
francobolli)
LA BOMBA IN TESTA
...e io contavo i denti ai francobolli [Seduto]
dicevo "grazie a dio" "buon natale"
mi sentivo normale
. [Alza la testa. Guarda in giro]
eppure i miei trent'anni
erano pochi più dei
loro [Fa per alzarsi di scatto]
ma non importa adesso torno al lavoro.
[Ma si ferma e lentamente, molto lentamente ritorna a sedere]
Cantavano il
disordine dei sogni [Scuote la testa]
gli ingrati del benessere francese
e non davan
l'idea [guarda avanti, ispirato]
di denunciare uomini al balcone
di un solo maggio, di un unico paese, [prova
di nuovo ad alzarsi]
e io la faccia usata dal buonsenso [ma il tentativo e' goffo]
ripeto "non vogliamoci del male" [e ricade seduto, ciondolando il
capo]
e non mi sento
normale [appoggia la fronte sul tavolo]
e mi sorprendo
ancora [rialza il capo]
a misurarmi su di loro
e adesso è tardi, adesso torno al lavoro. [riprende i
francobolli]
Rischiavano la strada e per un uomo [distante]
ci vuole pure un senso a sopportare
di poter sanguinare
e il senso non dev'essere rischiare [di nuovo
prova ad alzarsi]
ma forse non voler più sopportare. [resta in piedi ma incerto]
Chissà cosa si prova a liberare [prova a muovere un passo, poi un
sltro]
la fiducia nelle proprie
tentazioni, [avanza appoggiandosi al tavolo]
allontanare gli intrusi
dalle nostre emozioni,
allontanarli in tempo
e prima di trovarti solo
[compie un passo da solo e crolla]
con la paura di non tornare al lavoro.
[Da terra, si alza aggrappandosi al tavolo, con enorme fatica]
Rischiare libertà strada per strada, [e' ancora in
piedi]
scordarsi le rotaie verso casa,
io ne valgo la pena, [avanza al proscenio piu' sicuro]
per arrivare ad incontrar la
gente [si sporge verso la platea]
senza dovermi fingere innocente.
[scende in platea. Inizia ad accorgersi della presenza delle persone. Le
tocca, le guarda piu' da vicino, curioso. Stringe mani, tocca
capelli,
sfiora i vestiti]
Mi sforzo di ripetermi con loro
e più l'idea va dì là del vetro
più mi lasciano indietro,
per il coraggio insieme
non so le regole del gioco
senza la mia paura mi fido
poco.
[Di scatto si gira e torna verso il palco. Risale dalla platea. torna
verso
il tavolino dei francobolli]
Ormai sono in ritardo per gli amici
per l'odio potrei farcela da solo [si
gira verso la platea]
illuminando al tritolo [ma ora la sua faccia e' cambiata]
chi ha la faccia e mostra solo il viso
sempre
gradevole, sempre più impreciso.
E l'esplosivo spacca, taglia, fruga [arriva al tavolo dei francobolli,
lo
scompiglia con le mani. Poi lo fa volare con un calcio]
tra gli ospiti di un ballo mascherato,
[impugna una maschera]
io mi sono invitato [l'indossa]
a rilevar l'impronta
dietro ogni
maschera che salta [indossa un nero mantello]
e a non aver pietà per la mia prima volta. [Esce a sua volta]
(Tutta la durata della canzone e' caratterizzata
dagli atteggiamenti
mimici del ragazzo).
Cambio scena
Giorgio
======================= (seconda parte)
30 secondi di buio, scanditi dall' introduzione al ballo. Parte la
musica e si illumina la sala da
ballo. Quattro coppie di manichini in
costume settecentesco ruotano tipo carillon. Sulle diapositive scene di
valzer viennesi. Lui, immobile in mezzo alla sala, illuminato dal
riflettore, apre il
mantello.
Cristo drogato da troppe sconfitte
cede alla complicità
di Nobel che gli espone la praticità
di un eventuale premio della bontà?.[scendono lentamente dall'alto due
sagome tipo burattini di
Luzzati. Cristo ha l'aria sbiellata e gli occhi
strabuzzati, Nobel ha in mano una bomba infiocchettata tipo pacco dono]
Maria ignorata da un Edipo ormai scaltro
mima una sua nostalgia di natività,?[scende la sagoma
di Maria]
io con la mia bomba porto la novità,
la bomba che debutta in società,
al ballo mascherato della celebrità?.[prende la bomba da Nobel e la
lancia in mezzo alla scena, la bomba esplode in un botto
di
coriandoli. ]
Dante alla porta di Paolo e Francesca
spia chi fa meglio di lui:
lì dietro si racconta un amore normale?[in fondo alla scena
retroilluminata compaiono, tipo ombre cinesi le sagome di due
ragazzi
che si baciano e di un tizio nasuto che spia e prende appunti ]
ma lui saprà poi renderlo tanto geniale.
E il viaggio all'inferno ora fallo da solo
con l'ultima invidia lasciata là sotto un
lenzuolo,
sorpresa sulla porta d'una felicità
la bomba ha risparmiato la normalità,
al ballo mascherato della celebrità?.[fa un giro di danza con una delle
coppie in costume, poi si sposta verso il fondo]
La
bomba non ha una natura gentile?[raccoglie un' altra bomba pacco-
dono]
ma spinta da imparzialità
sconvolge l'improbabile intimità
di un'apparente statua della Pietà?[Butta la bomba contro la
statua
della pieta', che si apre lasciando uscire da una botola una statua
della liberta' che regge uno specchio al posto della fiaccola]
Grimilde di Manhattan, statua della libertà,
adesso non ha più rivali
la tua vanità?[carezza il seno alla sagoma]
e il gioco dello specchio non si ripeterà
"sono più bella io o la statua della Pietà"?[le prende lo specchio e lo
butta]
dopo il ballo mascherato della
celebrità?.[fa un giro di danza con
Grimilde]
Nelson strappato al suo carnevale
rincorre la sua identità?[scende dall'alto una navicella con la sagoma
di Nelson, mascherato, con un cannocchiale in una mano e la
feluca
sciupazzata]
e cerca la sua maschera, l'orgoglio, lo stile,
impegnati sempre a vincere e mai a morire.
Poi dalla feluca ormai a brandelli
tenta di estrarre il coniglio della sua Trafalgar
e nella
sua agonia, sparsa di qua, di là,?[dalla feluca esce un
coniglio che esplode in un altro botto di coriandoli]
implora una Sant'Elena anche in comproprietà,
al ballo mascherato della celebrità?
[illuminato solo
dal riflettore fa un giro di danza con un'altra coppia
in costume intanto si rialza la luce nel lato destro del palco sull'
interno borghese. Il padre ora e' in poltrona in vestaglia con un
termometro in
bocca, la madre prima gli porge un bicchiere e lo carezza
distrattamente sulla fronte,]
Mio padre pretende aspirina ed affetto?[indica il padre]
e inciampa nella sua autorità,
affida a una vestaglia il suo ultimo
ruolo
ma lui esplode dopo, prima il suo decoro.
Mia madre si approva in frantumi di specchio,[indica la madre che
intanto e'tornata a truccarsi allo specchio. Sul tavolo da toeletta
un'altra bomba
infiocchettata]
dovrebbe accettare la bomba con serenità,
il martirio è il suo mestiere, la sua vanità,
ma ora accetta di morire soltanto a metà,
la sua parte ancora viva le fa tanta pietà,
al ballo mascherato
della celebrità?[butta la terza bomba tra i
genitori; si rovescia la poltrona del padre, la madre cade a terra e si
prende la testa fra le mani. Lui torna avanti a danzare con la terza
coppia in costume]
Qualcuno ha
lasciato la luna nel bagno
accesa soltanto a metà?[sullo sfondo una mezzaluna]
quel poco che mi basta per contare i caduti,?[rialaza le sagome dei
vari personaggi]
stupirmi della loro fragilità,
e adesso puoi
togliermi i piedi dal collo?[rivolto al padre che e'
seduto per terra accanto alla poltrona rovesciata]
amico che mi hai insegnato il "come si fa"
se no ti porto indietro di qualche minuto?[lo tira avanti
tra le sagome
rovesciate]
ti metto a conversare, ti ci metto seduto
tra Nelson e la statua della Pietà,?[rialza le sagome mettendole a
capanna sul padre]
al ballo mascherato della celebrità?[e torna a danzare con
l'ultima
delle coppie in costume]
Lucia
================== (terza parte)
Oppure anche cosi' ...
Buio assoluto. Comincia la canzone. Quando parte il recitativo, un
proiettore comincia ad
accendersi e spegnersi, battendo il ritmo della
poesia, staccando le frasi l'una dall'altra.
Quando la scena si illumina, si vede che e' stato montato un ring. Al
centro del ring un personaggio alto e
atletico, capelli biondi, spirito ariano,
guantoni da boxe, torace nudo. Dall'altro lato l'impiegato/imputato,
anche lui in guantoni da boxe, Ma con la guardia abbassata. Il pugile ariano
mima un combattimento.
Suona la campana di inizio round. Dall'angolo emerge un giudice-arbitro che inizia a recitare la canzone. Non appena inizia a parlare il pugile ariano scatta contro l'imputato e inizia a colpirlo.
"Imputato
ascolta,
noi ti abbiamo ascoltato.
(Un jab sinistro entra nella guardia mal portata dell'impiegato che
vacilla)
Tu non sapevi di avere una coscienza al fosforo
piantata tra l'aorta e
l'intenzione,
(L'iniziativa dell'avversario spinge il pugile alle corde)
noi ti abbiamo osservato
dal primo battere del cuore
fino ai ritmi piu' brevi
dell'ultima emozione
quando
uccidevi,
(diretto destro)
favorendo il potere
(diretto sinistro)
i soci vitalizzi del potere
(diretto destro, schizza via il paradenti)
ammucchiati in discesa
(diretto sinistro, la testa oscilla priva di
difesa, le braccia calano)
a difesa
della loro celebrazione.
(Il giudice impone un break)
E se tu la credevi vendetta
(lo conta in piedi)
il fosforo di guardia
(uno, due, tre, quattro)
segnalava la
tua urgenza di potere
(cinque sei sette)
mentre ti emozionavi nel ruolo piu' eccitante della legge
quello che non protegge
la parte del boia.
(da' il via. Il pugile ariano, sullo stacco musicale, si
slancia dal suo
angolo e colpisce ripetutamente, a ritmo con la musica, l'impiegato che
crolla a terra. Luci passano come fari fendendo il buio e la platea.
vola un asciugamano sul palco che viene rilanciato fuori
dal giudice-arbitro).
Imputato,
il dito piu' lungo della tua mano
e' il medio
quella della mia
e' l'indice,
eppure anche tu hai giudicato.
Hai assolto e hai condannato
al di sopra di
me,
ma al di sopra di me,
per quello che hai fatto,
per come lo hai rinnovato,
il potere ti e' grato.
L'impiegato viene fatto rialzare. Ha il volto tumefatto. Si nota, solo
ora che le mani,
infilate nei guantoni sono legate insieme tra loro
all'altezza dei polsi. Non puo' difendersi.
Ascolta,
una volta un giudice come me
giudico' chi gli aveva dettato la legge:
prima cambiarono il
giudice
e subito dopo
la legge.
ricomincia il combattimento che, in realta', si e' trasformato in una
pura mattanza. L'impiegato cade ripetutamente e ripetutamente viene rimesso in piedi. Continui
stacchi di bianco e nero, trasformano la scena in flash drammatici. Gli attori posano a tableaux vivant sui colpi portati.
Oggi, un giudice come me,
lo chiede al potere se puo' giudicare.
Tu sei il
potere.
Vuoi essere giudicato?
Sullo sfondo viene aperta una finestra e un manichino, con le fattezze
dell'impiegato e' fatto volare attraverso di essa. L'impiegato, quello
vero, e' in ginocchio
sul ring.
Vuoi essere assolto o condannato?
Buio!
Giorgio
======================= (quarta parte)
Canzone del padre
La luce si rialza piano piano. E' una luce blu che richiama i
sogni.
L'ambiente attorno sembra essersi fatto d'acqua, per una canzone liquida
che ha l'acqua dentro il testo e nelle note. Sul palco il ring e'
smantellato e, al suo posto, trovano spazio tre figure
umane, con le gambe unite come un tronco d'albero ben radicato a terra e le braccia coperte da frammenti metallici. Le braccia oscillano lentamente, come scosse dal vento, che soffia davvero, muovendo i teli degli scenari
sullo sfondo. Appesi alle
braccia degli uomini-albero tintinnano, oscillando, degli acchiappasogni
indiani Lakota.
Il giudice alza un coltello sopra la sua testa, l'impiegato si para con
le mani, ma il
giudice si limita a tagliare i legami ai polsi
dell'impiegato, che si alza. Coni di luce individuano il personaggio parlante
"Vuoi davvero lasciare ai tuoi occhi
solo i sogni che non fanno
svegliare?"-
"Sì, Vostro Onore, ma li voglio più grandi".-
"C'è lì un posto, lo ha lasciato tuo padre.
L'impiegato prende posto in un punto rialzato del palcoscenico, una
specie
di ponte, e si appoggia alla sua balaustra. Sullo schermo alle sue
spalle frattanto parte il cartoon in bianco e nero di Steamboat Willie, dove
Topolino pilota una barca a vapore, ostacolato da
Gambadilegno.
Non dovrai che restare sul ponte
e guardare le altre navi passare
le più piccole dirigile al fiume
le più grandi sanno già dove andare".-
L'impiegato si avvicina al giudice, gli
strappa la toga di dosso, lo
spinge lontano e ne indossa la toga. Il giudice resta steso a terra.
Così son diventato mio padre
ucciso in un sogno precedente
il tribunale mi ha dato fiducia
assoluzione e
delitto lo stesso movente.
Si conclude il cartone, l'impiegato-giudice inizia a girare tra gli
uomini-albero, arrugginiti nella loro paura di arrugginire. Si avvicina
a uno in particolare: Berto. Nella luce blu si
diffonde una cascata di
bolle di sapone colorate. L'impiegato, scientemente, con costanza e con
dispetto, fa esplodere tutte le bolle che gli si avvicinano. Berto cerca invece di afferrarle.
E ora Berto, figlio
della lavandaia,
compagno di scuola, preferisce imparare
a contare sulle antenne dei grilli
non usa mai bolle di sapone per giocare;
Scena del funerale della mamma di Berto. Berto la segue. Si ferma
(per
suggerire a Dio etc etc), inizia a scappare e viene nuovamente
trasformato in uomo-albero.
seppelliva sua madre in un cimitero di lavatrici
avvolta in un lenzuolo quasi come gli eroi;
si fermò un attimo per
suggerire a dio
di continuare a farsi i fatti suoi
e scappò via con la paura di arrugginire
il giornale di ieri lo dà morto arrugginito,
i becchini ne raccolgono spesso
fra la gente che si lascia piovere
addosso.
Entra un bambino triste e inizia a raccontare al pubblico la "sua"
interpretazione della canzone.
Ho investito il denaro e gli affetti
banca e famiglia danno rendite sicure,
con mia moglie
si discute l'amore
ci sono distanze, non ci sono paure,
La strofa comincia con una constatazione sul rapporto con la moglie,
ammettendo "distanze pur senza paure" ma...., quel "ma"
seguente
significa l'insoddisfazione del rapporto, "ma ogni notte lei mi si arrende piu'
tardi", dice il verso. Siamo sicuri che "lei" sia la moglie? Secondo me
il riferimento alla moglie
termina con il quarto verso, delineando un
rapporto ormai di rispetto piu' che di amore, come in molte coppie dopo alcuni anni di matrimonio (ho detto molte, non tutte, non offendetevi,
piccioncini!).
ma ogni
notte lei mi si arrende più tardi
vengono uomini, ce n'è uno più magro,
ha una valigia e due passaporti,
lei ha gli occhi di una donna che pago.
La "lei" successiva potrebbe essere una
prostituta extracomunitaria e
l'uomo magro il suo protettore. Infatti i "due passaporti", la valigia di
ciondoli (preservativi? C'erano gia' nel 73?) e soprattutto il foglio di via
finale, uniti
agli uomini che ogni notte (bada bene, di notte!!) vanno dove si
trova il protagonista lasciano presumere una provenienza straniera, ma il
verso che piu' mi ha fatto avvicinare a questa teoria e' "lei ha gli
occhi di
una donna che PAGO".
Commissario io ti pago per questo,
lei ha gli occhi di una donna che è mia,
l'uomo magro ha le mani occupate,
una valigia di ciondoli, un foglio di via.
Che cazzo
c'entra allora' il commissario, mi dirai? Ricordati che
l'impiegato ora e' un socio vitalizio del potere, quindi il commissario
di polizia e' suo "schiavo", e l'impiegato lamenta
probabilmente la
cacciata della donna che ormai sente sua ("lei ha gli occhi di una donna che e' mia")
e del protettore che ora ha in mano il tragico foglio di via. Come si
permette la polizia di troncare
il rapporto tra un potente e una donna,
sia essa santa o puttana? Il potere non serve alla felicita'.
Se queste analisi vi sembrano fatte da un pazzo ubriaco.... non vi do
tutti i torti, a volte mi stupisco
anch'io dei parti isterici della mia
mente...
E' vero, mi identifico molto in "Storia", non invitatemi a balli
mascherati o sara' peggio per voi......:-)))
Se ne esce.
L'impiegato lo
indica.
Non ha più la faccia del suo primo hashish
è il mio ultimo figlio, il meno voluto,
ha pochi stracci dove inciampare
non gli importa di alzarsi, neppure quando è caduto:
Fiamme livide illumino la
scena, un incendio, un falo', un rogo per le
nuove streghe. In controluce rispetto alle fiamme svolazza l'impiegato nella
sua toga nera. Corre qua e la', prima nel tentativo di salvare, poi per
rompere e
bruciare, distruggere e saccheggiare i suoi stessi beni.
e i miei alibi prendono fuoco
il Guttuso ancora da autenticare
adesso le fiamme mi avvolgono il letto
questi i sogni che non fanno
svegliare.
L'impiegato si scaglia contro il giudice rimasto a terra, da dove ha
osservato atterrito 'intera scena. Lo afferra per il collo e inizia a
stringere. Il giudice si divincola, si rialza, atterra a
sua volta
l'impiegato, gli strappa la toga, la reindossa ed esce ridendo.
L'impiegato resta a terra e da terra lancia la mincaccia finale.
Vostro Onore, sei un figlio di troia,
mi sveglio ancora e mi
sveglio sudato,
ora aspettami fuori dal sogno
ci vedremo davvero,
io ricomincio da capo.
Buio
Giorgio
======================================================================
Cominciamo dalla
fine.
Cominciamo dal carcere e, per tornare indietro, sfruttiamo la tecnica del flashback.
Per i sogni, eventuali, non c'è problema. I sogni sono il pane del cinema!
Un lungo piano sequenza all'interno di
un carcere. Un carcere senza secondini.
Ovunque tracce di una rivolta.
Brande capovolte, materassi sventrati. Le porte delle celle sono tutte spalancate.
Un uomo è seduto al tavolo nella sua cella. Sta scrivendo. E
fuma.
Il fumo della sigaretta si mischia al fumo degli incendi, che vanno via via spegnendosi.
Lentamente.
Dietro le sbarre della finestra, la luce del giorno è grigia.
"Cosa facciamo, ora?" - un
ragazzo è entrato, precedendo di poco la domanda.
L'uomo distoglie la sua attenzione, dal foglio di carta che gli sta davanti, per rivolgerla al giovane. Posa la penna, si toglie gli occhiali e, stropicciandosi la radice
del naso fra il pollice e l'indice, conclude -
"non lo so!"
"Non l'ho saputo mai" - aggiunge. "Non guardarmi come se fossi un dio in terra. E' passato un bel po' di tempo da quando
ho sentito, per la prima volta, quella canzone. Era una canzone che parlava di cuccioli, cuccioli come te e come quelli che erano con te, su quel treno a Ventimiglia! Ero già vecchio allora. Figuriamoci adesso! No. Non so cosa
fare. Non lo sapevo prima e non lo so ora".
"Ma come?" - obietta il ragazzo -"Me l'hanno raccontato quello che hai fatto!"
"Ah sì?" - domanda l'uomo, con
ironia.
Improvvisamente, si sentono delle esplosioni, in lontananza. Fuori dalla cella si sente gridare. Urla, imprecazioni. Ancora colpi. Si comincia a sentire un odore acre di fumo.
Ma non si tratta di tabacco, e
neppure di crine bruciato. Lacrimogeni!
Da dentro il carcere, una voce comincia a cantare. Poi un'altra, e un'altra ancora.
"Anche se il nostro maggio ha fatto a meno del vostro
coraggio
.............................................................."
Dissolvenza.
Il colore dell'interno della cella sfuma nel grigio del selciato di una strada.
Una qualsiasi strada di una
qualsiasi città. Le macchine parcheggiate si riconoscono chiaramente. Cinquecento, seicento, millecento. Qualche 850!
Le targhe sono illeggibili a causa del fumo che impregna l'aria, impenetrabile anche alla luce dei
lampioni.
"La barricata chiude la strada ma apre la via", legifera una scritta su un muro!
Un gruppo di ragazzi, metodicamente, comincia a prendere le automobili parcheggiate e a spostarle in modo da ostruire la
strada. Un, due e tre.
Afferrano tutti insieme i paraurti della "fiat", le scuotono e, al "tre", le fanno ruotare. Via via che retrocedono, le automobili vengono date alle fiamme, per cercare di
rallentare l'avanzata dello schieramento vestito in grigioverde.
Un ragazzo armeggia, con un attrezzo, sul selciato. Sudato e ansimante, alla fine, si alza in piedi col suo trofeo: un sampietrino!
Subito gli altri,
sfruttando la chiave di volta, cominciano a divellere il fondo stradale.
I sampietrini vengono ammucchiati agli angoli della strada.
Il ragazzo di prima, con pochi passi decisi, si stacca dal gruppo, verso lo schieramento
in grigioverde che avanza, e scaglia il sampietrino.
Nel farlo, gli scivola giù il fazzoletto che gli copriva la faccia: il viso è lo stesso del ragazzo che, in carcere, è entrato nella cella
dell'uomo!
L'inquadratura fa una carrellata sulla strada.
Si vede un poliziotto, col casco fracassato, per terra. Altri poliziotti lo soccorrono!
Poi l'inquadratura torna sui dimostranti che
esultano.
Esultano e cantano!
"Anche se il nostro maggio ha fatto a meno del vostro coraggio
.............................................................."
L'inquadratura si sposta ancora,
fino ad inquadrare un portone.
Sale, scorrendo, una ad una, tutte le finestre del palazzo.
Le luci sono spente in tutti gli appartamenti. In tutti tranne uno!
Nella stanza un uomo. Seduto al suo tavolo.
Si alza. Va
alla finestra. Torna a sedere. Si alza ancora. Torna a sedere.
La luce della lampada gli illumina il viso:
la faccia è la stessa dell'uomo in cella, solo più giovane!
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inviato il 26 Febbraio 2001 autore: RICCARDO VENTURI
titolo originale: IL NUMERO DI UN SOGNO (SOGNO NUMERO
DUE)
Sogno numero due. Già, l'unico sogno numerato in un album fatto in gran
parte di sogni.
Di sogni che, in gran parte, stentano ad andar giù a chi s'è già precostituito tutto; anche di utilizzarli
per le sue piccole o grandi sfide quotidiane.
Ora c'è, ad esempio, qualcuno che parla di "terrorismo". Terrorismo vorrebbe dire "generare terrore"; non per niente se ne parla non solo in termini di
attentati o bombe, ma anche di psicologia.
E allora rileggiamocelo questo "Sogno numero due" di De André; ma rileggiamocelo con attenzione estrema, ed anche, possibilmente, con un granello di
immedesimazione.
C'è un dibattito sul "terrorismo"?
C'è una discussione fra chi, evidentemente, identifica ogni tipo di lotta armata con il "terrorismo" e si diverte a giocar trappolette a
chi, sull'argomento, sono anni che è oltremodo chiaro?
C'è il solito gioco a chi ha l'anima più candida?
Bene, va tutto bene. Solo che prendere "Sogno numero due" a "testimonial" di tutto
questo, come fa l'amico Lupo Grigio, mi sembra notevolmente inesatto. Di più: superficiale.
L'errore di fondo è, a mio parere, prendere ogni cosa scritta da De André come una manifestazione inequivocabile del suo
pensiero. Da qui, se ci si pensa bene, tutte le menate sul "De André cristiano" e compagnia bella. Si nega a De André la costruzione di una storia (e dire che i concept album, in Italia, li ha praticamente inventati
lui); si nega la possibilità che le parole messe in bocca -o nel sogno- di qualcuno possano essere semplicemente e palesemente la riproduzione di uno stato d'animo o di qualcosa che attraversa la mente di un personaggio. Si
vuole fare di De André, gran raccontatore di storie, l'unico ed immutabile personaggio della sua storia; io non credo e non ho mai creduto che sia così.
Che cos'è il "Sogno numero due"? Il sogno di un
trentenne che prende
coscienza di certe cose; ed una presa di coscienza non è qualcosa di
semplice, di automatico. Una presa di coscienza assomiglia
invariabilmente al passo del gambero. E il Lupo Grigio,
"sfidando" il
Senia al "coraggio della coerenza" ( ! ) mediante l'abbastanza scontata
citazione del "Sogno numero due", si dimentica di dire (non so quanto a
sommo studio) che questo,
nella storia di quel certo Impiegato, precede
un altro sogno più devastante e decisivo (quello della "Canzone del
padre") e la sua logica conseguenza fattuale, il "Bombarolo".
Ho parlato prima
di "passo del gambero". Certo, di cose il Potere ce ne
inculca nella mente, a tutti quanti; e queste cose possono venir fuori
in dei sogni. I nostri sensi di colpa ereditati, le morali -religiose
o
d'altro genere-, le incertezze legate al gioco delle ipotesi che
s'incastrano. Un tranquillo Impiegato può anche sognare che il Potere
gli appaia e gli dica di non esser altro che un burattino. Che
lo
ringrazi per l'atto che sta per andare a compiere, che gl'insinui il
dubbio che tutto sia già previsto e che non serva a niente. Che gli
faccia balenare in testa l'idea terrificante d'essere solo
un
ingranaggio del potere e che, quindi, non vi sia mai scampo. Che non vi
sia possibilità di ribellione.
Il Potere, quello che nella "Buona Novella" era "vestito d'umana
sembianza", ora
s'avvolge anche in un sogno; il che significa penetrare
nel nucleo della coscienza, in quella parte dove essa, confondendosi con
l'incoscienza, può agire più indisturbato e certo di lasciare delle
tracce
profondissime. L'Impiegato, del resto, parte col sognarsi come
"imputato" e con l'essere di fronte a un giudice il quale gli sciorina
tutto ciò che può servire a fermarlo.
Ma è l'Impiegato
stesso che sta sognando!
Sta sognando tutte le sue costrizioni, tutte le sue remore, tutti i suoi dubbi; logico che si veda in un tribunale, perché è in gioco un atto che cambierà la sua vita. E' in gioco una
rivolta.
Come si schiera il Potere?
Si schiera nel modo più subdolo ed efficace: tentando di far credere al sognatore di essere un boia, di essere a sua volta il Potere e di averne "urgenza", di poter
"assolvere" e "condannare". In fondo, addirittura, il Potere finge di abdicare e gli pone l'alternativa se voglia essere giudicato, assolto o condannato.
E' solo questione di sogni? Ne siamo e
ne siete sicuri?
Quante ribellioni sono state schiacciate veramente in questo modo?
Quante volte una lotta, armata e non, è stata spenta facendo credere che ci fossero delle "manovre" inesistenti? Qualcuno si
ricorda del "Grande Vecchio"? Ma certo, così dev'essere; chi, a un certo punto della vita, ha preso, prende o prenderà le armi per una qualsiasi forma di lotta, oltre ad essere un "terrorista" è già
bollato, automaticamente, di essere al tempo stesso una rotellina nel grande meccanismo del Potere che si genera e si rigenera.
Ti puntano il dito addosso e ti dicono: "Sei pronto a condannare ogni forma di violenza
senza appello e senza eccezioni? Sei pronto a condannare il terrorismo?"
E con quale violenza lo dicono, però, a loro volta! La violenza degli agnellini!
Per fortuna che l'Impiegato, dopo il Sogno numero due, ne
fa un altro. Durante il quale vede la sua vita, e, disperazione per disperazione, decide di non cadere nel gioco. Sfugge al tranello della coscienza imposta. Schiva il fossato dell'inazione, della rassegnazione,
dell'impotenza mascherata da buon senso.
E, quando si sveglia, eccome se gli risponde al Giudice. Uno sberleffo.
Vostro Onore, sei un figlio di troia. Si vedranno davvero. Lui ricomincia da capo. Puff! Dopo il
sogno numero due, c'è il sogno numero
zero!
Potere troppe volte
E' legato ad altre mani
sganciato e restituitoci
Dai tuoi aeroplani,
Io vengo a restituirti
Un po' del tuo terrore,
Del tuo
disordine,
Del tuo rumore.
Volete le "condanne senza appello"? Pronunciatele voi! Anzi, le avete già pronunciate!
Ma non venite nei nostri sogni, perché come vi si risponde ce l'ha già fatto vedere
Fabrizio de André.
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inviata il 7 Agosto 2001 autore: FRANCO SENIA
titolo originale: IL RITORNO DEL BOMBAROLO
No!
E' riuscita a trovarmi anche questa volta.
Non mi ha lasciato nemmeno il tempo di far fuori la prima bottiglia.
E' sempre stata brava a trovarmi, lei.
Mi trovava sempre. Anche quando mi nascondevo dietro
le mie mille maschere.
Dietro i miei discorsi, i miei comizi (così li chiamava!), dietro il mio atteggiarmi ad angelo vendicatore.
Oh mi conosceva, se mi conosceva! Tanto tempo fa.....
Ma anch'io la conoscevo. E
non glielo dirò mai, ma qualche piccola soddisfazione ho voluto lasciargliela. Le ho sempre fatto credere che, senza di lei, certi libri non li avrei mai letti. Libri!
Ha il coraggio di chiamare libri anche l'opera di
quell'essere disgustoso, assassino di compagni.
Non mi riesce nemmeno di scriverne il nome.
Lo chiamerò Napoleone, come il maiale della Fattoria degli Animali, tratteggiato su di lui.
Chiama libri quel cumulo di
spazzatura.
E la mia bomba, per lei, era oggettivamente di destra, ed io un impiegatuccio piccolo-borghese.
Mi viene da ridere, a pensarci ora. Lei, con le sue creme, i suoi ninnoli e le sue trine. Sempre bella, sempre a
posto.Ed io, sempre con l'aria di uno che aveva dormito vestito (e spesso era proprio così) o non aveva dormito affatto.
Lei, sempre col colorito giusto.
Ma come sbiancò quella volta che, alle cinque del mattino,
venne a suonare il campanello il commissario fiorolli, coi suoi scagnozzi!
Come sbiancò mentre le mettevano a soqquadro la sua bella casa, in cerca di qualcosa di imprecisato. Chiedendo quanti e chi fossero i convitati a
quel tavolo di cucina, ricostruendone il numero dei coperti, fra stoviglie e tovaglioli sporchi rimasti dalla sera
precedente.
"Cercavano qualcuno" - mi disse, dopo, a violenza cessata. E con queste parole
volle ripetere e sottolineare l'opinione che aveva dei miei amici: "Sono loro stasera i migliori che abbiamo?".
Certo le piacevano i miei occhi, me l'ha sempre detto. I miei occhi proprio identici ai
suoi. I miei occhi che traboccavano di disprezzo.
E questo le pesava, o se le pesava.
Il suo odio per quello che chiamava il mio "ribellismo piccolo-borghese" era solo la cifra della sua incapacità a
capire la mia paura di arruginire.
E, alla fine, sono arruginito anch'io.
I capelli, nerissimi una volta, hanno cominciato da tempo a rigarsi di qualche filo bianco, sempre di più; per non parlare della
barba.
Chissà come mi vede adesso? Mentre mi paragona a quell'altro che ero.
E in tasca non mi è rimasto più niente, nemmeno un pò di polvere di mare.
Ed ora cosa le dico?
Come faccio, dopo tutto questo
tempo, a salvare i suoi "Aiuto"?
Non lo so. Non lo so proprio.
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postato sulla ml fabrizio a partire dal
23/2/2000
titolo originale: ...E ADESSO PUOI TOGLIERMI I PEDI DAL COLLO (DIVAGAZIONI)
comincia RED
Ti avevo conosciuto che non ero ben visto dalla maggior parte della gente.
Quasi sempre vagavo fra un bar e
l'altro, in cerca di quel calore ad alta gradazione che nessuno sapeva darmi sotto forma di rapporti umani.
Eravamo diventati amici forse per puro disegno del destino.
Tu, vita regolare, una laurea ormai nel cassetto,
l'unico progetto quello di proseguire per la tua strada, regolare, illibata, precisa.
Io, ogni giorno un cielo diverso, stessi sogni, stessi vestiti. Un giovane invecchiato, un esempio di disagio.
Parlare e'
una liberazione, a volte. La solitudine puo' esserti amica, ma spesso i frammenti e gli attimi infiniti degli stralci esistenziali che, volente o nolente, solcano il cammino, necessitano di essere condivisi con
qualcuno.
E non con una donna, bensi' con un cervello maschile, non per intolleranza, ma per ragioni strettamente pratiche di vicinanza del concetto di vita, di morte, di merda sotto le scarpe.
Per noi la vita era
una scala di nuvole difficile da comprendere. Io e te, legati da quella stessa incapacita' di prevenire le ansie, i vortici che ci avvolgevano lenti, ma inesorabili. Due esistenze che non riuscivano a capire fin dove
arrivava il confine predestinatogli,
incapaci forse di essere totalmente felici, ma conscie, al punto di estremo rifiuto della societa', di dover percorrere una via alterna alla comune sopportazione.
Fu cosi'
che mi parlasti della bomba.
E capimmo, in sere impregnate dal fumo delle nostre sigarette, che la posa del nostro personalissimo mattone era forse l'unico modo di cominciare a costruire l'infinita piramide che
sognavamo.
Non aveva importanza la quasi certezza che i nostri pensieri mal si adattavano ai progetti senza fine pratico della maggior parte dei cuccioli di un Maggio che era finito prima ancora di presentarsi; bisognava
scaricare la rabbia, l'incapacita' di reagire, i tagli
profondi e vermigli nella schiena.
Mi insegnasti l'arte dell'esplosivo, e forse, in cuor tuo, sapevi di rischiare il tuo vivere terreno. Ma forse
proprio per questo andasti avanti a ridere insieme a me, lungo serate come fiumi, in una vita che inesorabilmente passava come l'ultimo tram in una notte di pioggia, fra bicchieri e poesie.
Terro' sempre con me
quella vecchia foto ormai ingiallita dal tempo e dalla nicotina, in cui i nostri sorrisi malcelavano il resoconto di due vite solcate da un rasoio difficile da regolare. Non ti dimentichero' mai, stai
tranquillo.
Pero' dovevo farlo. Al ballo mascherato avevo definitivamente capito che l'unico modo per lasciare alle spalle un passato ingombrante era di far saltare in aria, con tutti, anche te. Mi sembra ancora
di sentirti raccontare di individualismo, di vendette ... forse l'avresti fatto anche tu, sicuramente l'avresti fatto anche tu, altrimenti mi sarei offeso.
Quando sei esploso forse guardavi l'uscita, e forse
avresti potuto raggiungerla, intuendo il pericolo. Ma non l'hai fatto, e io te ne sono grato. Sapevi che se c'era una minuscola ed invisibile via d'uscita era per forza quella, e poco importa che fossi io invece che
tu ad azionare in quel mentre il detonatore.
Se mai un giorno ti rivedro', so che non ti dovro' nemmeno chiedere scusa. Basteranno un sorriso triste e un abbraccio, e una stretta fra la mia mano magra e nodosa e la
tua, piu' agile e indipendente.
Poi sara' soltanto nebbia, ed ognuno, dopo un abbraccio, percorrera' il suo
sentiero.
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continua FRANCO SENIA
Hai visto giusto, come tuo solito.
Non hai da chiedermi scusa. Per niente.
Me
ne ricordo ancora di quando ti vidi per la prima volta.
Entrasti in quel bar, incautamente. Non ne avevi certo bisogno di
un altro giro. Tutti i bar precedenti li portavi scritti dentro gli
occhi.
I bar di quella
sera, e quelli di tutte le altre sere prima di quella.
Una lunga teoria di bar.....
Ma non fu certo la tua "spiritosità" ad incuriosirmi.
Il marchio. Fu il marchio e la tua andatura. Il modo in cui ti
conducevi.
A volte come una bandiera. Intrisa di orgoglio e di gloria a venire.
Una bandiera. Una bandiera di un paese giovane, ma una bandiera!
Poi, appena raggiunta la soglia necessaria, l'asta della bandiera si
trasformava in qualcos'altro: una gruccia.
Ed era una bandiera ancora peggiore. Più spaventevole.
Un'arma da spianare in faccia alla vita. Un'arma da storpio, nell'anima.
Sfido io che non eri ben visto
dalla maggior parte della gente!
E' stato a quel punto che ti ho lasciato guardare nei miei occhi, affinchè ti ci riconoscessi. E siamo diventati amici. E abbiamo parlato.
Non è stato un disegno del destino, e
nemmeno un caso.
Io ti cercavo, da tempo.
Avevo un debito da estinguere.
Ti sei sbagliato sui miei progetti, come sulla mia laurea, che non ho mai preso.
Tu cercavi qualcuno che ti insegnasse il "come si
fa", e non ti è mai venuto di pensare che nessuno nasce "imparato".
Anch'io conservo una foto, ancora più ingiallita di quella che conservi tu; una foto su cui, accanto al mio, è disegnato un altro
sorriso, che non è il tuo.
Per questo sapevo che ci avresti provato a far saltare in aria anche me.
E perdonami se il tuo "non ti dimenticherò mai. Stai tranquillo" suona alle mie orecchie diffidenti come
una minaccia.
Che ci vuoi fare? Sono fatto così. Del resto è grazie alla mia diffidenza se sono ancora vivo.
Ho lasciato che tu credessi di essere riuscito a far saltare in aria anche me, durante quel fottuto ballo
mascherato.
Sapevo che avresti voluto farlo.
Arriva sempre il momento in cui volete farlo!
Poi hai seguito la tua strada. Come doveva essere.
Solo una cosa ho continuato a chiedermi per tutti questi
anni:
come diavolo hai fatto a mancare il bersaglio e a far saltare in aria quel cazzo di edicola? - E' stata una cosa veramente disdicevole!
Non so se ci rivredemo. Considerati comunque abbracciato.
La
mia strada mi porta altrove.
Come puoi immaginare, i mei insegnamenti sono sempre richiesti
da quella parte di umanità che ora tu conosci così bene.
Chissà che non ci si incontri di nuovo, un giorno o
l'altro.
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interviene LEON
"Morto arrugginito!
E cosi' mi hanno liquidato. Nemmeno una lira. Niente diritto
d'autore, niente royalties, niente finali epici. Io, Berto, figlio di lavandaia, povero e colpevole d'essere povero, sono stato sepolto cosi', tra i fogli di giornale. Esattamente lo stesso giornale da cui lei
"spiccava da ogni foglio". Ma vi siete mai chiesti che giornale leggesse? O che "Giornale?"
Cosa leggeva questo figlio del potere, questo ennesimo corruttibile figlio della borghesia? A noi, poveri, la
rivolta da soli non e' data.
Non ce la possiamo permettere. Possiamo si', quello si', possiamo diventare banditi, possiamo rapinare banche, organizzare rapimenti...
ma, anche qui si tratta di entrare in
un'organizzazione, in una struttura. Altrimenti l'alternativa e' di finire "morti e arrugginiti". Non abbiamo spazi di liberta' noi.
Clochard al massimo. Hobo. Barbone. Ma non anime salve. Per
quello bisogna essere come minimo un popolo. Al singolo figlio della plebe non e' dato altro che una nota a pie' pagina.
Ma non sono morto! Nossignori. E non sono neanche del tutto arrugginito.
Forse un po'
provato dall'alcool di cattiva qualita', da tutto quel Brancamenta sorseggiato al posto dei loro whisky di malto ("sigh! Come mi e' costato scrivere questo! - Nota di Giorgio"). No, non morto.
Vivo.
Qui, anch'io in questo bar dei destini incrociati, anch'io in questo sabato mattina che mi sembra di sole. Quanto meno non piove.
Non piove piu'.
Qualche anno fa pioveva tanto. Era un epoca di grandi sogni e
grandi piogge.
Ogni idea una goccia di pioggia. Uguale uguale a ora. Una siccita' terrificante!
E li vedo. Li vedo tutti davanti a me: il bombarolo,l'amico che gli ha insegnato il come si fa, la donna dalla bocca
ingorgata di parole. Ma loro non mi vedono, non mi riconoscono. E non puo' bastare qualche grillo che mi cala giu' per il risvolto del cappotto o le tavolette di sapone per lavatrice che mi sciolgo nel caffe' per
farmi riconoscere.
Trent'anni sono passati e trent'anni sono lunghi per tutti. Figuratevi per una figura marginale e di sfondo, come me. E' vero, ero in classe con lui, eravamo in banco assieme, giocavamo da
piccoli con gli stessi giochi (i suoi), con lo stesso pallone (il suo), abbiamo persino amato le stesse donne. Poi se le e' fatte lui, ma questo non cambia, non importa. Dio non si e' mai fatto i fatti miei.
Ma ...
c'e' un ma. C'e' che non sono cosi' solo. C'e' che questa volta ho un amica anch'io! Un'amica ... esplosiva. Ho la MIA bomba. E tra poco scoppiera'. E fara saltare per aria questo locale
e ridurra' in coriandoli, in frammenti, in briciole me e tutto il mio passato.
La bomba, la frenesia, la torpedine-miccia-guerra-lampo-poesia e' in mano mia!
Ancora dieci
secondi
nove
otto
sette
sei
cinque
quattro
tre
due
....
....
....
...."
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interviene
FRANCO SENIA
E dai berto, non fare così.
Lo sai che lui, in fondo ti ha sempre voluto bene.
Del resto l'hai detto tu che ti faceva giocare col suo pallone, ecc.
Ora non vorrai far scoppiare quella bomba solo
per una questione di donne. E poi nel nostro bar!!!!
Ma stai scherzando ??!???
Non sarà mica stato quel brancamenta, ingollato a fiumi, che ti ha fatto andare fuori di testa?
Senti quella storia è finita, chiusa,
kaputt.
E piantala con questo discorso delle "royalties". Sta diventando un'epidemia.
Ieri si è fatto perfino vivo, un pò prima dell'ora di cena, il secondino.
Sì, proprio lui. Pasquale Cafiero!
E
io a dirgli - "guarda non si può fare il cumulo delle royalties".
"Tu hai le tue, belle pulite, su quell'altro disco. Le nuvole."
Alla fine si è convinto, per fortuna.
E' andato via
brontolando, ma si è convinto. Almeno spero.
Spero proprio che non ne parli con quello lì in carcere, se no sono capaci di impiantarci un bel casino. E ce lo fanno chiudere 'sto bar.
E poi pensa tu se dovessero
arrivare tutti i "cuccioli del maggio" a reclamare la loro parte.
Magari ti arriva anche quella testa di cazzo di straccio liguori!
No, berto. Questo bar dei destini incrociati è l'ultima cosa che ci
è rimasta.La cosa più simile a quel sogno che noi tutti avevamo.
Puzza di utopia, lontano un miglio.
E poi sei proprio sicuro di farcela con quella bomba?
Guarda che una bomba non è mica una lavatrice!
Hai
controllato bene l'innesco e il detonatore?
E la miccia, hai messo la miccia giusta?
Aspetta un attimo. Non accenderla ancora. Fammici dare un'occhiata.
Ma che cazzo hai fatto? Quella miccia, berto, è corta,
berto, berto,
BERTOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOO
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interviene RED
Strana la vita.
Sembra quasi che quel signore la, in
fondo al bar, mi stia guardando con rancore.
Sembra quasi che io abbia vissuto una vita da invidiare. Ma quando?
Sono nato con un padre violento e repressivo, sono cresciuto con un lavoro di merda e nella depressione
piu' cupa, ho fallito una vendetta personale, sono stato scaricato dall'unica donna che ho amato e sono finito in carcere.
Ora vago da un bar all'altro sempre in odore di arresti domiciliari, e vedo negli occhi
degli amici quel brillare di lacrime che non sono mai riuscito a fare mio.
Di Berto mi ricordo quasi tutto. E' finito male; non peggio di sua madre, comunque. Quella si era una povera donna, e forse lui poteva
salvarle la vita, lui era uno sbandato pressapoco come me, forse piu povero ma non piu' sperduto lungo le vie del destino.
Sua madre e' morta, lui non l'ha aiutata.
Non l'ha fatto, invece di sorreggere le
stanche ossa dell'anziana genitrice preferiva venire con me, a cullare assieme i primi sogni di adolescenti, le prime parvenze di bomba. Giocavamo, e il piu' infelice dei due forse ero io. Sapere di essere
"arrugginito" vuol dire comunque avere di fronte un qualsivoglia fottuto selciato. Io no, io non ho mai avuto la benche' minima idea di quello che il destino mi avrebbe riservato: ero un pidocchioso benestante
senza mezza convinzione in testa.
E a Berto volevo bene, ma quando lui ha avuto bisogno di me, lo confesso, ero troppo perso nei miei sogni di vendetta per tendergli la mano. Lui se ne e' andato senza fare rumore... mi
mancano i suoi occhi sognanti che inseguivano le mie bolle di sapone, mi mancano le sue corse detro ai grilli.
Io correvo solo dietro ai cani, e da piccolo mi innamoravo di tutto.
Ma questa e' un'altra
storia.
Chissa' perche' penso a lui ora. Forse sono quegli occhi, che mi fissano da sotto quella tesa di cappello che vedo in fondo al locale.
Sento persino odore di tritolo, ma e' da trent'anni che
mi succede.
Ordinero' un altro Glen Grant... anzi, no, mi faro' un Brancamenta. Da li' riaffiorano meglio i vecchi ricordi. E restero' seduto, qualunque cosa
accada.
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conclude LEON
Tg1 delle 20,00
"Misteriosa esplosione nel bar dei destini incrociati, situato nei
pressi del carcere di massima sicurezza. Sul finire della mattinata un grande botto ha messo in allarme i quartieri attorno al carcere, da cui e' subito partita una macchina per recarsi sul
luogo
dell'attentato, condotta dal maresciallo Pasquale Cafiero. Dopo una breve indagine e' stato possibile appurare che si e' trattato di un regolamento di conti all'interno della ex-sinistra
extraparlamentare.
Di prima mattina era stato appena rilasciato, dopo lunga detenzione il bombarolo. E' quasi certo che alcuni sui ex compagni dell'epoca lo abbiano aspettato all'uscita e all'interno del bar
abbiano trovato modo di fare esplodere la loro furia omicida, portando a termine una vendetta che covavano da molto tempo.
Un solo sopravvissuto: una donna con la bocca ingorgata di
parole".
Lei
"Si', io li ho conosciuti bene. Tutti. (Mi si vede bene cosi'? C'e' abbastanza luce?). Ero la fidanzata del bombarolo anni fa, anzi la sua compagna, la morosa... oh insomma
non so, fate voi. Se non c'e' piu' la parola ti amo non c'e' nemmeno il modo per identificare chi sta insieme, no?
(Il profilo sinistro e' il mio migliore. Posso tirare un po' giu' la
maglietta sulla spalla se serve). Erano immaturi. Tutti si' Berto e' stato il mio primo ragazzo, ma si era cosi' giovani (e lui era cosi' povero!).
Poi, dopo l'attentato, sono stata per qualche anno con
l'amico che gli ha insegnato "il come si fa" e infine, ma solo da qualche anno mi ero sposata col barista. (Credete che serva dire che ho fatto un po' di teatro off? Meme Perlini, Pier'Alli, anche un
piccolo ruolo con Carmelo Bene. Facevo l'albero! No, eh?). Ma il loro destino si iscrive un po' come una parabola di un'intera generazione che non ha saputo per tempo togliersi i piedi dal collo di chi marciava alla
loro testa ed era il nemico stesso, d'altra parte anche Camilleri inizia il suo ultimo romanzo ("La gita a Tindari") con il Commissario Montalbano
inferocito al pensiero che uno suo ex compagno, uno dei
piu' rivoluzionari, e' diventato direttore di banca e questo vuole senz'altro significare .......
bla bla bla bla bla bla (ingorgo)
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