Tratto dalla Mailing List Fabrizio:
inviato il 16/11/1999 autore: DIEGO CUOGHI
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> Ci mi aiuto a capire il testo
di AMICO FRAGILE?
> Accetto qualsiasi cosa!
Due mesi fa a Modena, al festival Dell'Unita', ho assistito ad una commovente-divertente serata dedicata a Fabrizio De Andre'. Guidati dal solito (ma sempre
gradevole) Fabio Fazio erano ospiti Roberto Vecchioni, Mauro Pagani, Teresa De Sio, David Riondino, un poeta del quale non ricordo il nome (e che era meglio se ne fosse stato a casa sua a poetare), Cesare Romana... in platea
c'era Dori Ghezzi.
Cesare Romana, amico di vecchissima data di Fabrizio (scrisse i testi di presentazione di "Vol.1", "Tutti morimmo a stento", "Vol.3"...) ha fatto un accenno alla
"nascita" di "Amico fragile". Provo a ricordare...
Ha detto che era una serata in cui tutti avevano bevuto un po' più del necessario, e avevano cominciato a prendersi in giro anche in modo un pò
pesante. Fabrizio per un pò era stato al gioco poi aveva avuto un moto di stizza e si era alzato, abbandonando la tavolata, irritato da certi comportamenti secondo lui ipocriti.
Si è chiuso nella camera dell'albergo e ha
buttato giù di getto quella
canzone.
So che non è molto come "spiegazione" ma è tutto quello che
ricordo.
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inviato il 16/11/1999 autore FRANCO
SENIA
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Ho paura che ricordi male. :-)))
Sarà stata la presenza nefasta di fazio, l'uomo dei giochi a premi!
A me
risulta diversa la storia, confortato in questo anche da quello che Cesare Romana scrive su libro "Amico Fragile", e dalla discussione che c'è stata in mailing list.
Riporto così come è scritto sul
libro:
Dice De Andrè: "Stavo ancora con la Puny, la mia prima moglie, e una sera che eravamo a Portobello di Gallura, dove avevamo una casa, fummo invitati in uno di questi ghetti per ricchi della costa
nord.
Come al solito, mi chiesero di prendere la chitarra e di cantare, ma io risposi -"Perchè, invece, non parliamo", era il periodo che Paolo VI aveva tirato fuori la faccenda degli esorcismi, aveva detto che il
diavolo esiste sul serio. Insomma a me questa cosa era rimasta nel gozzo e così ho detto: "Perchè non parliamo di quello che sta succedendo in italia". Macchè, avevano deciso che dovessi suonare.
Allora mi sono
rotto le palle, ho preso una sbronza terrificante, ho insultato tutti e sono tornato a casa. Qui mi sono chiuso nella rimessa e in una notte, da ubriaco, ho scritto 'Amico Fragile'. La Puny mi ha stanato alle otto del
mattino, non mi trovava nè a letto nè da nessuna parte, ero ancora nel magazzino che finivo di scrivere".
Inutile aggiungere
altro.
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inviato il 16/11/1999 autore: DIEGO
CUOGHI
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Hai certamente ragione tu, io il libro di Cesare Romana non l'ho letto e ho solo tentato di ricordare un veloce accenno fatto
durante una serata estiva su un palco del Festival Dell'Unita'.
Forse aveva ragione Jorge Luis Borges quando diceva: "il ricordo è una maniera di modificare il passato".
:-)
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inviato il 5/4/2000 autore:
TERSITE
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> Ciao a tutti , qualcuno mi può dire in quale occasione e cosa ispirò
> Fabrizio a scrivere "Amico
Fragile"
> Ciao e grazie
Era ad una serata da "amici" (per così dire), stava ancora con la Puny, quando dopo cena venne invitato a cantare: "Perché non ci canti un po' qualcosa?".
"Perché invece non parliamo un po' di cosa succede in Italia?" rispose lui. Era il periodo in cui Paolo VI disse che il Diavolo c'era davvero e venivano seriamente presi in considerazione gli esorcismi. A lui
'sta cosa interessava a voleva capirci qualcosa, ma pare che agli altri non ne fregasse nulla.
Allora, come solo lui sa fare, di punto in bianco alzò le chiappe e se ne andò a casa, si chiuse nello scantitato, si ubriacò
e scrisse Amico Fragile.
Il mattino dopo la Puny lo ritrovò ancora lì. (Vedi Parole e Canzoni della Einaudi Editore).
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inviato
il 5/4/2000 autore: MARCELLO MOTTA
L'occasione gli fu data durante una delle tante serate passate nel "gruppo borghese" che frequentava nei primi anni '70 : Fabrizio si sentiva
"usato","sfruttato" per quello che rappresentava : dinnanzi ad una sua richiesta di discutere di ciò che accadeva alla società vide il rifiuto e la richiesta di prendere chitarra e cantare : un
"fenomeno da baraccone" : ecco come lo vedevano ; allora, dopo una buona sbronza, ecco che nasce amico fragile : una sottile e sofferente analisi di quei momenti mentre venivano vissuti.
Spero di essere stato
esauriente !
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inviato il 17/1/2000 autore: CARLO RIVIS
Amico Fragile, racconta di una sua strana avventura. A suo tempo era
stato invitato ad un party, pieno di persone chic, e lui che si è
sempre sentito un ribelle si sentiva a sua volta diverso da quelle
persone. Quindi se poteva trovare un amico in quella festa con cui
parlare, non
poteva essere altro che il vino. Ubriaco, poi iniziò a
disturbare le altre persone fino a farsi allontanare.
Riascoltati la canzone e prova a pensare alle mie parole, che comunque emergono nettamente dal
testo.
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inviato il 17/1/2000 autore FRANCO SENIA
Guarda che ti sbagli.
Fabrizio non disturbò nessuno, nè ,tantomeno, venne
allontanato.
Gli ruppero i coglioni perchè volevano sentirlo suonare, e lui invece voleva parlare.
Alla fine se ne andò via, mandandoli in culo.
Ah, credo che la bevanda amica fosse whiskey, e non
vino.
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inviato il 17/1/2000 autore: DAIMON-ANDSO
E di cosa voleva parlare De Andre'? Romana riporta nel libro, appunto
"Amico Fragile", che era "curioso" di conoscere il parere degli altri su come si schierasse la chiesa cattolica nei confronti dell'esorcismo (anni, tra l'altro, in cui usci' il cult
"L'esorcista"...)
Guarda guarda, Franco, ancora a parlar di soprannaturale... ma era
proprio fissato
:-)))))))
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inviato il 18/1/2000 autore: FRANCO SENIA
soprannaturale il diavolo?
Ma se è quanto di più umano esista in tutta
quella paccottiglia che va sotto il nome di religione cristiana! :-)))
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inviato il 18/1/2000 autore: FCH
Bene e Male sono
realta' riconosciute da ogni religione esistente ed
esistita, sin dalle origini... credo che di soprannaturale abbiano ben
poco: forse solo cio' che di soprannaturale si vuol loro affibbiare. In
realta',
ritengo siano semplicemente i due volti opposti, lo Yin e lo
Yang (si scrivono cosi'?) che si integrano e completano, di ogni cosa,
dell'uomo come della natura: la capacita' di amare e di odiare, di
creare
e di distruggere, forze interiori ed esteriori con le quali
l'uomo si e' scontrato da sempre e sempre si scontrera' ed alle quali
ha sempre sentito l'esigenza di dare un
nome.
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inviato il 12/12/2000 autore: RICCARDO VENTURI
"Amico Fragile" e la disarticolazione poetica della
realtà
di Riccardo Venturi, Livorno.
Base di partenza per ogni seria analisi di un testo poetico è il contesto ove una particolare espressione artistica si è venuta a formare. Contesto contingente (qui il celebre
"sgabuzzino" nel quale De André si ritirò ubriaco per una notte intera) e contesto più generale.
Il contesto contingente, ovviamente, è qui di natura del tutto particolare ed è necessario tenerne ben conto;
"Amico fragile", a parte qualche cosa di Piero Ciampi (penso a "Hitler in galera" o a "Il Natale è il ventiquattro"), è uno dei rarissimi esempi di testo poetico in musica scritto palesemente e
dichiaratamente "in vino". Ciononostante, sarebbe un errore considerare tale testo come un puro esempio di "scrittura incosciente", o "automatica", o qualcosa del genere; ne fanno fede, oltre alla
struttura metrica e ritmica dei versi (che sembrano, sebbene sciolti, letteralmente modellati sulla texture musicale, indizio questo abbastanza chiaro di un adattamento successivo del testo ad una musica, o, meglio, ad un
arpeggiamento di base -un atto che testimonia chiaramente una coscienza comunque non totalmente obnubilata dall'alcool), anche i riferimenti, criptati in flash, agli avvenimenti che avevano immediatamente preceduto la
composizione della canzone.
Racconta De André (riprendo da "Come un'anomalia", p.180): "Stavo ancora con Puny, la mia prima moglie, e una sera che eravamo a Portobello di Gallura, dove avevamo una
casa, fummo invitati in uno di questi ghetti per ricchi della costa Nord. Come al solito, mi chiesero di prendere la chitarra e di cantare, ma io risposi: «Perché invece non parliamo?»
Era il periodo che Paolo VI aveva
tirato fuori la faccenda degli esorcismi, aveva detto che il diavolo esiste sul serio. Insomma, a me questa cosa era rimasta sul gozzo e così ho detto: «Perché non parliamo di quello che sta succedendo in Italia?» Macché,
avevano deciso che io dovevo suonare. Allora mi sono rotto le palle, ho preso una sbronza terrificante, ho insultato tutti e sono tornato a casa. Qui mi sono chiuso nella rimessa e in una notte, da ubriaco, ho scritto «Amico
Fragile». La Puny mi ha stanato alle otto del mattino, non mi trovava né da nessuna parte, ero ancora nel magazzino che finivo di scrivere."
I riferimenti nel testo sono abbastanza chiari: "Le serate
estive", il "semplicissimo mi ricordo", i "vostri «Come sta». Se Roland Barthes scrisse i "Frammenti di un discorso amoroso", potremmo considerare questi come dei "Frammenti di un discorso
noioso", la compagnia non voluta, la meraviglia che suscitano i "Luoghi meno comuni e più feroci".
E' il disagio che coglie chiunque senta dentro di sé di non appartenere a un dato mondo o a un dato
ambiente prova quando vi si trova catapultato, per di più in qualità di "celebrità", di "attrazione". E una parte del racconto di De André ("Macché. Avevano deciso che dovevo suonare") sembra
riprodurre fedelmente la storia del Suonatore Jones, che assurge quindi al ruolo di canzone autobiografica o, quantomeno, di identificazione profonda ("E poi se la gente sa, e la gente lo sa che sai suonare / Suonare ti
tocca per tutta la vita...").
Il Poeta voleva parlare del Diavolo. Voleva parlare di qualcosa che "gli stava sul gozzo". Voleva parlare addirittura di pratiche esorcistiche riconosciute dalla Chiesa; ma
doveva suonare e cantare. Scatta quindi il meccanismo della ribellione estrema: il Poeta canterà e suonerà, ma da solo e stravolgendo irrisoriamente quella realtà che non sente sua. Si prende la "sbronza
terrificante", si chiude nel garage e suona, finalmente ed autenticamente libero.
Qui inizia quella che abbiamo chiamato la "disarticolazione della realtà"; una forma particolare che può assumere un
momento violento di ribellione derivante da un disagio profondo. Non è affatto improbabile che De André, in un certo qual modo, gliela abbia voluta "far pagare" a modo suo, ai "ricchi del ghetto". Da questo
punto di vista, "Amico Fragile" è un testo che ha anche una sua precisa connotazione umoristica (sottolineo: umoristica; e, non per niente, ad uno dei "luoghi comuni/feroci" del "frammento del discorso
noioso", «Lo sa che io ho perduto due figli», il Poeta risponde con una battuta sarcastica: «Signora, lei è una donna piuttosto distratta»). Il Suonatore Jones decide quindi di disarticolare la realtà, ma lo fa
nell'unico modo che conosce: scrivendo, cantando e suonando.
La ribellione, il sarcasmo, il disagio; ma su questo, stante anche la complicità dell'alcool (che abbassa totalmente le barriere della coscienza),
s'innesta, com'è a questo punto logico vista la situazione, il subliminale. Ma un subliminale che sembra andare "a strappi" e che fa di "Amico Fragile" quel meraviglioso intreccio derivante dalla
registrazione esatta dello spettrogramma di una coscienza in un suo momento di lampi, di chiaroscuri violenti, di barbagli. Si potrebbe quasi dire che, se James Joyce, nell' "Ulisse", ha applicato per la prima
volta lo "Stream of Consciousness", la riproduzione fedele del libero fluire del pensiero-parola, De André, in "Amico Fragile", fornisce un esempio di "Stream of Semi-Consciousness"; non
casualmente, uno dei pochi esempi del genere che si ricordino è proprio una composizione poetica di Joyce, "The Ballad of Perse O'Reilly".
Il Poeta, dunque, suona. E registra come un sismografo le sue
variazioni; dall'immagine totalmente onirica della "ballerina di seconda fila" (che sembra riprendere un'immagine da vecchio avanspettacolo degli anni '30, con la danzatrice che ha appena partorito) si
passa a un flash di coscienza lucida, totale, che rappresenta forse il momento più alto della canzone perché esprime la gioia totale, la compenetrazione profonda dell'artista con il suo strumento: "Pensavo è bello che
dove finiscono le mie dita / debba in qualche modo incominciare una chitarra". L'artista diventa un tutt'uno con il suo strumento, non c'è soluzione di continuità; ed è solo apparentemente singolare che proprio
in una canzone del genere, De André esprima questa cosa con una semplicità, uno "scoppio" da ragazzo felice. Si è *liberato*. Dal ghetto dei ricchi, dai discorsi noiosi, dal teatrino dove lo volevano
costringere.
Un mondo "trincea", di "nascondigli", di immagini sfatte; e lui, che in un nascondiglio si trova davvero, è molto più libero di loro, oltre che più curioso.
E la coscienza si abbassa
di nuovo. Lo "Stream of Semi-consciousness" non dà tregua; di nuovo seduto fra gli "arrivederci" (come finiscono tutte le serate tranquille? Con un "arrivederci"), di nuovo a pensare come
l'avrebbe presa la "sconosciuta" se il grande Artista-Idolo le avesse palpato i pantaloni (altro punto in cui la semi-incoscienza assume connotati umoristici, qui addirittura comici; un altro tratto decisamente
joyciano! Sarebbe interessante poter effettivamente verificare il rapporto tra il lettore De André e l'autore Joyce: ad esempio, se, quando e come ne aveva affrontato la lettura, se conosceva quella specie di enorme
"Amico Fragile" che si chiama "Finnegans Wake" ecc.). C'è il tempo anche per liberare un povero cane che, lo confesso, è da tempo una delle mie "fissazioni" principali. Vorrei scrivere la
storia del cane Libero.
La realtà è finalmente stata disarticolata. Insultata dai figli che parlano ancora male e ad alta voce di lui, divorata dal cannibale che gli insegna la sua distanza dalle stelle, asfissiata tra
litri e litri di corallo per raggiungere un posto che si chiamasse "Arrivederci"; posto finalmente raggiunto da Fabrizio de André l'11 gennaio 1999 e dal quale continua ad emettere segnali all'infrarosso. Il
cane Libero li capta sicuramente meglio di tutti noi.
Ma il parziale recupero della coscienza sembra farsi strada; e, con esso, c'è l'ultimo sussulto umoristico. No, in tutta quella notte a Fabrizio tutto è
sicuramente venuto in mente, tutto gli ha invaso la mente fuorché il pensiero di essere più ubriaco di noi, di essere molto più ubriaco di noi. Da un gesto di ribellione e di noia è iniziato un viaggio nella propria mente, un
"viaggio allucinante" come quello del romanzo di Asimov con il sottomarino all'interno del corpo umano. Il "sottomarino" di De André è stata la sua chitarra, e quel che ne è risultato è stata, come
detto, la registrazione precisa di questa traversata notturna in solitaria, ogni singolo momento dalla quale promana nell'ascoltatore.
Perché è questo il "senso" profondo di questa canzone: ogni volta che
la ascoltiamo, volenti o nolenti, entriamo con lui in quello "sgabuzzino".
Sappiamo esattamente ogni singolo attimo di quella notte, ma non lo sappiamo esprimere. Ci sarebbero due soluzioni: riuscire a registrare
fedelmente un nostro momento di dissolvimento, oppure ragionare con esegetica freddezza sul testo. Prendere una boccia di whisky e scolarsela oppure fare appello a tutte le proprie conoscenze per un'analisi approfondita e a
tutto campo. Il senso estetico, il "significato" ed il valore poetico di un testo del genere non possono scaturire che da queste due cose; lascio a te, Lupo Grigio, e a tutti coloro che saranno arrivati in fondo a
questa cosa, decidere se chi l'ha scritta, il dott. prof. Riccardo Venturi da Livorno, di anni 38, la notte fra l'11 e il 12 dicembre 2000 si è scolato mezza bottiglia di Laphroaig oppure ha solo allungato un po' le
mani per acchiappare un paio dei due o tremila libri che lo circondano.
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inviato il 12/12/2000 autore: VALERIO
Ci
sarebbero due soluzioni: riuscire a registrare fedelmente un nostro momento di dissolvimento, oppure ragionare con esegetica freddezza sul testo. Prendere una boccia di whisky e scolarsela oppure fare appello a tutte le proprie
conoscenze per un'analisi approfondita e a tutto campo. Il senso estetico, il "significato" ed il valore poetico di un testo del genere non possono scaturire che da queste due cose:
Secondo me nè l'una,
nè l'altra delle operazioni riesce a disinnescare pienamente l'elemento estetico; escluderei la soluzione alcolica, in quanto amplificherebbe a dismisura il peso delle sensazioni, esasperando la reazione del fruitore.
E' ovvio che ognuno (compreso il sottoscritto) può amare profondamente una canzone percependola da ubriaco. Ma qui stiamo parlando di un giudizio estetico, il quale necessità di una certa oggettività, di
"rigore"...
Invece ritengo utilissimo avere cognizione di causa, per esprimere un giudizio, e quindi benvengano le conoscenze tecniche, culturali, etc..
Un buon bagaglio di questo tipo non può che aiutare a
capire.
Sono dell'idea che il fattore estetico, la scintilla artistica è qualcosa di non investigabile; anche se è possibile capire sempre qualcosa in più, e per questo il lavoro del critico è tutt'altro che
inutile!
Personalmente, viste le premesse, mi aspettavo da te una lettura più tecnica; mi pare che talvolta incorri nei rischi di una critica un po' sensibilista.. I riferimenti a Joyce secondo me sono
abbastanza fuori luogo.
Non serviva scomodare il flusso di coscienza per descrivere le evoluzioni compiute dal poeta; in Joyce l'inconscio è sfrenato, e si produce in sequenze molto prolisse e straniate sintatticamente.
In Amico fragile niente di questo accade: i momenti a cui ti riferisci a me sembrano invece aforistici, esemplari nella loro stringatezza, particelle dense di significato. Può benissimo esserci, anzi è evidente una certa
spontaneità;
ma prima di arrivare a Joyce incontriamo autori parecchio più vicini:
il Bob Dylan, ad esempio, di Tarantola. Oppure, ancora più palese, la presenza di Leonard Cohen, di cui significativamente è contenuta in
Vol. 8 una cover.
L'influenza di Cohen è determinante per quanto riguarda il tessuto armonico, a livello di disposizione degli accordi tanto nella strofa quanto nella variazione; riguardo l'arpeggio, mutuato di
sana pianta, da "Stranger song" ("Songs of L.C".); perfino la voce di De Andrè si adatta a un canto che non gli è del tutto familiare, si provi a immaginarla cantata da Cohen...
Non voglio
assolutamente con questo sottrarre meriti alla tua bella interpretazione, in cui ho trovato moltissimi spunti interessanti.
Anzi visto che ci sono mi complimento con te per il "lavoro" che svolgi in questo
Ng.
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inviato il 12/12/2000 autore: RICCARDO VENTURI
>Secondo me nè l'una, nè l'altra delle operazioni riesce a
disinnescare
>pienamente l'elemento estetico;
Ma non era assolutamente mia intenzione disinnescarlo! Solo che, in un testo del genere, l'elemento estetico, non si lascia e non può lasciarsi
"catturare" in una descrizione ed in un'analisi che sia riconducibile a delle strutture o, comunque, ad una descrizione. Ero ben cosciente, mentre la scrivevo, che, nella mia analisi, l'elemento puramente
"estetico" sarebbe stato sacrificato; ma, siccome sono di una curiosità abissale, a questo punto la domanda è d'obbligo: tu come lo avresti messo maggiormente in risalto?
> escluderei la soluzione
alcolica, in quanto
>amplificherebbe a dismisura il peso delle sensazioni, esasperando
>la reazione del fruitore. E' ovvio che ognuno (compreso il sottoscritto)
>può amare profondamente una canzone
percependola da ubriaco. Ma qui
>stiamo parlando di un giudizio estetico, il quale necessità di una
>certa oggettività, di "rigore"...
Vedi quanto ho detto prima. Se proprio vogliamo ampliare questo
giudizio estetico, dovremmo pigliare delle composizioni simili e, fra le altre cose, confrontare i giudizi critici (e quindi anche estetici) che ne sono stati dati. Non so, la prima cosa che mi viene a mente, anche abbastanza
ovvia, è la "Saison en enfer" o il "Bateau ivre" di Rimbaud.
Ecco, forse nella mia analisi un po' più di Rimbaud non ci sarebbe stato male; un poeta senz'altro più vicino alla formazione
deandreiana di James Joyce.
>Invece ritengo utilissimo avere cognizione di causa, per esprimere un >giudizio, e quindi benvengano le conoscenze tecniche, culturali, etc..
>Un buon bagaglio di questo tipo non
può che aiutare a capire.
Beh, sono sempre fra quegli ingenui che crede fortemente che le discussioni su un NG servano e debbano servire, giustappunto, a capire.
Io capisco un po' di più leggendo le tue parole, tu
capisci un po' di più leggendo le mie. Tutto qui. Il resto è un altro versante della nostra varia umanità.
>Sono dell'idea che il fattore estetico, la scintilla artistica è
>qualcosa di non
investigabile
Ero anche io del tuo stesso parere fino a non molto tempo fa; poi, visto che -da moltissimo tempo- ho una particolare, nascostissima e privatissima produzione "artistica" (insomma, lo avrai
capito, le solite, classiche poesie nel cassetto, anche se poi il cassetto è diventata una directory di un disco fisso), mi sono messo ad analizzare i *miei* meccanismi di composizione, le mie reazioni quando scocca la mia
scintilla di serie Z. Logica conseguenza è che, a volte, mi lancio a ricercare anche ben più elevate scintille. Impresa senza speranza, d'accordo; ma mi riempie la vita.
> anche se è possibile capire sempre
qualcosa in più, e per
>questo il lavoro del critico è tutt'altro che inutile!
Io, bada bene, non sono un "critico". Tutt'altro! Non lo sono né per formazione (sono un filologo, un investigatore
ed un ricostruttore di parole e testi), né per carattere. Forse il mio limite è proprio questo, e si vede tutto quanto: tendo sempre, da buon filologo, a andare verso l'archetipo, verso il "testo primitivo". E il
testo veramente "primitivo", ohimé, è nella mente di chi lo ha scritto; ci si dovrebbe accontentare, e ci si riesce nello 0,01% dei casi, della "prima copia manoscritta" di un amanuense. Nello 0,001% dei
casi abbiamo un manoscritto autografo. Nello zero assoluto dei casi possiamo penetrarenella mente di un uomo.
>Personalmente, viste le premesse, mi aspettavo da te una lettura più
>tecnica; mi pare che
talvolta incorri nei rischi di una critica un po'
>sensibilista..
Può darsi, ma non vorrei tornare a insistere sulle premesse.
Riprenderò comunque il testo e farò una più conseguente analisi
strutturale. Il problema è che un'analisi del genere, ed è il problema di tutto lo strutturalismo (si aprano i cieli ed il Venturi venga fulminato all'istante), porterebbe secondo me a delle cose
scontate.
Destrutturiamo "Amico fragile"? Secondo me non ne verrebbe fuori assolutamente nulla. È un testo troppo legato ad una situazione realmente particolare, unica. De André non è Montale e non credo che, da
"Amico Fragile", ci avrebbe cavato fuori qualcosa strutturalmente valido neppure Angelo Marchese. Da altri testi, però, sì.
> I riferimenti a Joyce secondo me sono abbastanza fuori luogo.
>Non serviva
scomodare il flusso di coscienza per descrivere le
>evoluzioni compiute dal poeta; in Joyce l'inconscio è sfrenato, e si
>produce in sequenze molto prolisse e straniate sintatticamente.
Secondo me, o tu
non ami particolarmente Joyce (cosa più che legittima, per carità), o la stai dicendo tu una cosa totalmente fuori luogo. Io ho fatto riferimento a dei meccanismi mentali, non ad una tecnica di composizione; e, soprattutto, ho
posto una bella differenza anche a tale livello ("stream of consciousness" vs. "inconsciousness") proprio perché si tratta di due cose differenti. Vogliamo aggiungere anche anche l'ovvietà, cioè che
l'"Ulisse" è un testo in prosa e "A.F." è in versi?
Ciò, peraltro, non toglie che io abbia colto in "A.F." anche dei meccanismi squisitamente prosaici. Qui torno a Rimbaud.
> In
Amico fragile niente
>di questo accade: i momenti a cui ti riferisci a me sembrano invece
>aforistici, esemplari nella loro stringatezza, particelle dense di
>significato.
Ehm...chi faceva la critica
sensibilistica..? :-D
Questi momenti, secondo te, sono riconducibili a delle strutture? Se ci sono e se vogliamo decifrarle, prima, a mio parere, è necessario avvicinarsi quanto più possibile alla loro genesi ed, appunto, al
significato del quale sono dense.
Senza contare che, al prossimo post, potrebbe arrivar qualcuno e dire: Raga', quando la smettete di farvi queste seghe mentali? Non lo capite che De André era briaco fradicio e stop?
:-D
> Può benissimo esserci, anzi è evidente una certa spontaneità;
>ma prima di arrivare a Joyce incontriamo autori parecchio più vicini:
>il Bob Dylan, ad esempio, di Tarantola. Oppure, ancora più
palese,
>la presenza di Leonard Cohen, di cui significativamente è contenuta
>in Vol. 8 una cover.
"Voto" più per Cohen che per Bob Dylan, qui. Hai ragione, impossibile contestare quel
che dici in questo punto. Ed allora si partirà ad investigare quest'album profondamente, indissolubilmente "coheniano"; faremo incontrare e dialogare l'Amico Fragile con Nancy, prima che costei cerchi dal
terzo piano la sua serenità.
>L'influenza di Cohen è determinante per quanto riguarda il tessuto
>armonico, a livello di disposizione degli accordi tanto nella strofa
>quanto nella variazione;
riguardo l'arpeggio, mutuato di sana pianta,
>da "Stranger song" ("Songs of L.C".); perfino la voce di De Andrè si
>adatta a un canto che non gli è del tutto familiare, si provi
a
>immaginarla cantata da Cohen...
Mi ci sono provato a cantarla io, qualche mese fa, a Genova durante una "piola". E mi stava venendo pure abbastanza bene; solo che a un certo punto mi son dimenticato
due versi, cazzo...
Per il resto, anche qui nulla da dire. Vedo che parli, fra l'altro, con una cognizione di causa musicale che a me, e non è difficile osservarlo, manca quasi del tutto.
PS: Hai per caso ascoltato
"Amico Fragile" interpretata da Vasco Rossi durante il "concertone" del Carlo Felice? Se sì, m'interesserebbe un tuo giudizio.
>Non voglio assolutamente con questo sottrarre meriti alla tua
bella
>interpretazione, in cui ho trovato moltissimi spunti interessanti. Anzi
>visto che ci sono mi complimento con te per il "lavoro" che svolgi
>in questo Ng.
Lavoro saltuario e totalmente
precario. Ci toccherà fare un "sindacato postatori" prima o poi... :-D
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inviato il 29/12/2000 autore: CIRO
FERRAIUOLO
Con "Amico fragile" Fabrizio riesce per l'unica e irripetibile volta a cavalcare quello che egli stesso definiva "il grande mostro". Si tratta del filtro della trasfigurazione a mezzo,
o per colpa, del quale egli scrisse tutti i suoi testi. Il nostro grande riferiva che ogni qual volta che si apprestava a scrivere era sopraffatto da questo mostro, quasi fosse ispirato...ed eccolo a traslare ogni pensiero su
quel piano fantastico che tutti conosciamo.
Ora, una sera degli anni settanta, Faber incontra alcuni vecchi amici in una delle famose cene genovesi e questi continuano a chiedergli di cantare e cantare e cantare...è seccato,
ostenta ripetuti tentativi di svincolo ma tutti sembrano sordi e indifferenti.
Fabrizio, completamente ubriaco, abbandona la sala e si chiude in macchina nel garage (una delle molte feritoie della notte...).
Poche ore
dopo Dori Ghezzi lo trova riverso addormentato sul sedile. A fianco a lui c'è un foglio: il testo di "Amico Fragile".
Questo è ciò che so; a voi tutte le congetture del
caso.
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inviato il 4/1/2001 autore: MAURIZIO
Trattavasi se non erro di una villa in Gallura (Sardegna), e di una cena dove il
Faber, insospettito dalle dichiarazioni del vicario di Cristo, avrebbe voluto commentare con i commensali dell'inferno e delle sue implicazioni, sfumature, e via discorrendo.
La platea glissò, proponendo un revival a
base di "bocche di rosa" e "canzoni di marinella", indigeste al Faber di quei tempi che (a quanto pare) mal sopportasse anche di riproporle dal vivo nei concerti che si apprestava a fare e che avrebbe fatto.
Probabilmente solo la PFM riuscì a convincerlo del contrario, anzi, la PFM e la Pivano.
Indispettito dalla folla che acclamava a gran voce le sue epiche gesta musicali, tracannò come era sua abitudine fare (pasteggiava
spesso a Martini), insultò come gli veniva bene da ubriaco e si ritirò nel garage della sua villa sarda. Ai tempi credo che l'Agnata ancora non esistesse.
Di lì compose mirabili versi, ermetici se vogliamo, che a dire la
verità decifro solo per una parte.
Trattasi certamente di una invettiva nei confronti di quella borghesia ridanciana e festaiola che affolla le nostre amate coste sarde nel periodo estivo, trattasi di quella preistoria della
costa smeralda allora da poco lottizzata dall'Aghakan, strappata con mancie di quelche decina di milioni ai pastori indigeni che svendevano convinti di far l'affare, ettari di pascoli a picco sul mare, senza sapere che
sarebbero diventati luoghi perubriachi-sobri ("...e mai che mi sia venuto in mente, di essere più ubriaco di voi, di essere molto più ubriaco di voi..").
Azzarda riferimenti precisi e netti alla formalità di quella
gente "Se mi vuoi bene piangi" per essere corrisposti e ancora e "E poi sospeso tra i vostri "Come sta" meravigliato da luoghi meno comuni e più feroci".
Lo stato etilico avanzato è sottolineato
dall'esordio "evaporato in una nuvola rossa" e ancora il nascondersi dagli occhi di quella sera "in una delle molte feritoie della notte". Faber esterna la sua necessità di capire, di confrontarsi, presto disillusa dalle
pressioni dei presenti "perché già dalla prima trincea ero più curioso di voi ero molto più curioso di voi". Addirittura ribandendolo più volte, prendendo quasi le distanze da una umanità che lo disgustava "fino a scoprire ad
uno ad uno i vostri nascondigli senza rimpiangere la mia credulità". La chitarra e il suo elmo, forse simboli delle armi che lui usava per combattere, la chitarra come spada e le parole come lama, per tagliare i pensieri. E
poteva barattarle con una scatola di legno, ma solo per capire che avrebbe perso.
Borghesia chiassosa, affittare un chilo d'erba ai contadini in pensione(forse cannaioli??), nei lori aliscafi, motoscafi, yacht e panfili
(e regalare a piene mani oceani ed altre e altre onde ai marinai in servizio), direbbe Vecchioni "non verranno i piemontesi ad assalire Gaeta, con le loro Land Rover con le loro Toyota".
Graffiante il Faber, con un
cane di nome Libero (presumibilmente non uno yorkshire razza nana creato in laboratorio per fare compagnia alla signore del "tua culpa che affollavano i parrucchieri"), pronto a rispondere ad una donna che ha perso il
figlio, quanto questa sia stata distratta.
Perchè, e lasciatemelo dire, in quel pezzo di società (in cui mi sono mosso più o meno con la stessa fragilità del De André) ho visto le distanze enormi che ci sono tra genitori e
figli, in balia di baby sitter tutto l'anno....e queste signore magari si meravigliano pure quando scoprono che il loro cucciolo non prenderà le redini dell'azienda paterna, ma finirà a farsi di coca ai party in giro
per la riviera. Signora, lei è una donna piuttosto distratta....se lo lasci dire.
Ucciso dalla Vostra (finta) cortesia l'unica cosa che posso dirvi è un "mi ricordo", che vi lascerà con la bocca
aperta.
Faber ben consapevole di se stesso, forse spaventato dalla sua stessa figura, ci piace pensarlo abbioccato sul sedile della macchina che non amava guidare, con a fianco queste parole.....
> Poche ore dopo
Dori Ghezzi lo trova riverso addormentato sul sedile. A
> fianco a lui c'è un foglio: il testo di "Amico Fragile".
Non sono del tutto certo si trattasse di Dori. Per un problema cronologico, ma poco
importa.
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inviato il 4/1/2001 autore: FRANCESCO PANOZZI
Scusate se non mi sono mai presentato ufficialmente, ma di solito
mi
limito a lurkare.
>Signora, lei è una donna piuttosto distratta....(Lo sa che io ho >perduto due figli..)
Il verso è in realtà preso pari-pari da Oscar Wilde (L'importanza di chiamarsi Ernesto, mi
pare), penso debba considerarsi semplicemente un adattamento (più che una citazione). Se qualcuno ne sa qualcosa di più sono tutt'orecchi.
> > Poche ore dopo Dori Ghezzi lo trova riverso addormentato sul
sedile. A
> > fianco a lui c'è un foglio: il testo di "Amico Fragile".
> Non sono del tutto certo si trattasse di Dori.
Confermo, trattavasi della Puny.
Ciao, scusate
l'invadenza.
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inviato il 2/3/2001 autore: ALEKOS
Concordo con la tua interpretazione che trovo brillante e
chiara.
In realtà anche io avevo dei problemi nella comprensione di questo brano, che mi appariva di difficile "traduzione", ma proprio per quel concetto che la canzone, e lo ribadisco,deve essere ascoltata,per
prima cosa, con la mente e con il cuore già riuscivo a sentirne la forza del messaggio...
Oggi allora ho acceso lo stereo e l' ho riascoltata con cognizione di causa, subito dopo ho messo "il Suonatore Jones" e
ho avvertito in quelle parole emozioni ancora più sbalorditive.
> Da un gesto di ribellione e di noia è iniziato un
> viaggio nella propria mente, un "viaggio allucinante" come quello del
>
romanzo di Asimov con il sottomarino all'interno del corpo umano. Il
> "sottomarino" di De André è stata la sua chitarra, e quel che ne è
> risultato è stata, come detto, la registrazione precisa di
questa
> traversata notturna in solitaria, ogni singolo momento dalla quale
> promana nell'ascoltatore.
So, anche, che "Amico fragile" fu l'unica canzone che De Andrè, sentendola così sua,
si convinse a cantare in piedi per conferirle maggiore forza.
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inviato il 3/3/2001 autore: ANDREA LISI
Riccardo Venturi ha
scritto nel messaggio
>"Amico Fragile" e la disarticolazione poetica della realtà
>Base di partenza per ogni seria analisi di un testo poetico è il
>contesto ove una particolare espressione
artistica si è venuta a
>formare. Contesto contingente (qui il celebre "sgabuzzino" nel quale De
>André si ritirò ubriaco per una notte intera) e contesto più generale.
>Il contesto contingente,
ovviamente, è qui di natura del tutto
>particolare ed è necessario tenerne ben conto; "Amico fragile", a parte
>qualche cosa di Piero Ciampi (penso a "Hitler in galera" o a "Il
Natale
>è il ventiquattro"), è uno dei rarissimi esempi di testo poetico in
>musica scritto palesemente e dichiaratamente "in vino". Ciononostante,
>sarebbe un errore considerare tale testo come
un puro esempio di
>"scrittura incosciente", o "automatica", o qualcosa del genere; ne fanno
>fede, oltre alla struttura metrica e ritmica dei versi (che sembrano,
>sebbene sciolti,
letteralmente modellati sulla texture musicale, indizio
>questo abbastanza chiaro di un adattamento successivo del testo ad una
>musica, o, meglio, ad un arpeggiamento di base -un atto che
testimonia
>chiaramente una coscienza comunque non totalmente obnubilata
>dall'alcool), anche i riferimenti, criptati in flash, agli avvenimenti
>che avevano immediatamente preceduto la composizione della
canzone.
Ritengo che il fatto di aver rivestito successivamente il testo di un'ombra di musica quale l'arpeggio ossessivo che accompagna amico fragile nulla provi circa lo stato di semicoscenza dell'autore.
Le prove della lucidità sono nel testo che, pur servendosi anche di immagini oniriche ed incomprensibili, descrive il disagio dell'autore con impressionante puntualità.
>E' il disagio che coglie chiunque senta
dentro di sé di non appartenere
>a un dato mondo o a un dato ambiente prova quando vi si trova
>catapultato, per di più in qualità di "celebrità", di "attrazione".
Credo che De Andrè
appatenesse a quel mondo, pur riufitandolo totalmente.
>E una parte del racconto di De André ("Macché. Avevano deciso che dovevo
>suonare") sembra riprodurre fedelmente la storia del Suonatore
Jones,
>che assurge quindi al ruolo di canzone autobiografica o, quantomeno, di
>identificazione profonda ("E poi se la gente sa, e la gente lo sa che
>sai suonare / Suonare ti tocca per tutta la
vita...").
Non proprio fedelmente se non si omette "e ti piace lasciarti ascoltare".
>Qui inizia quella che abbiamo chiamato la "disarticolazione della
>realtà"; una forma
particolare che può assumere un momento violento di
>ribellione derivante da un disagio profondo. Non è affatto improbabile
>che De André, in un certo qual modo, gliela abbia voluta "far pagare"
a
>modo suo, ai "ricchi del ghetto". Da questo punto di vista, "Amico
>Fragile" è un testo che ha anche una sua precisa connotazione umoristica
>(sottolineo: umoristica; e, non per niente,
ad uno dei "luoghi
>comuni/feroci" del "frammento del discorso noioso", «Lo sa che io ho
>perduto due figli», il Poeta risponde con una battuta sarcastica:
>«Signora, lei è una donna
piuttosto distratta»). Il Suonatore Jones
>decide quindi di disarticolare la realtà, ma lo fa nell'unico modo che
>conosce: scrivendo, cantando e suonando.
Secondo me non è il poeta a rispondere con
sarcasmo, il poeta è fragile in quel momento, tuttalpiù avrebbe potuto stuzzicare i pantaloni della sconosciuta o divertire la platea con una falsa diatriba con un figlio. Il luogo meno comune e più feroce, "signora lei è
una donna piuttosto distratta", è una risposta cinica e borghese data da un altro della compagnia.
>La realtà è finalmente stata disarticolata. Insultata dai figli che
>parlano ancora male e ad alta voce di
lui, divorata dal cannibale che
>gli insegna la sua distanza dalle stelle, asfissiata tra litri e litri
>di corallo per raggiungere un posto che si chiamasse "Arrivederci";
Io non ci vedo niente di
disarticolato.
>esegetica freddezza sul testo. Prendere una boccia di whisky e
>scolarsela oppure fare appello a tutte le proprie conoscenze per
>un'analisi approfondita e a tutto campo. Il senso
estetico, il
>"significato" ed il valore poetico di un testo del genere non possono
>scaturire che da queste due cose; lascio a te, Lupo Grigio, e a tutti
>coloro che saranno arrivati in fondo a
questa cosa, decidere se chi l'ha
>scritta, il dott. prof. Riccardo Venturi da Livorno, di anni 38, la
>notte fra l'11 e il 12 dicembre 2000 si è scolato mezza bottiglia di
>Laphroaig oppure ha solo
allungato un po' le mani per acchiappare un
>paio dei due o tremila libri che lo circondano.
Io ho seguito la terza via: nè libri nè Laphroaig. Puro e semplice
ascolto.