Coda di lupo

Durata
5.25
Autori

Fabrizio De André, Massimo Bubola

Editore musicale

Universal Music Publishing Ricordi Srl

FAQ

Dalla Mailing lits Fabrizio
(postato il 27/11/2000 alle ore 19:14) autore: FRANCO SENIA

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Coda di Lupo è, insieme a la domenica dele salme, la sola canzone di fabrizio ad avere un respiro, per così dire, storico.
Mentre La domenica delle salme si "limita" a scattare una fotografia impietosa di quegli anni di "merda" che culminano nella caduta del muro di berlino; inchiodando quell'avvenimento in una "fissità" che sortisce l'effetto di lasciarci sgomenti. I pochi riferimenti al passato di alcuni dei protagonisti non inficiano l'inferno di un eterno presente.
Diversamente accade per "coda di lupo"!
Qualche anno dopo, la storia di un impiegato, fabrizio torna a parlare di politica. Tenta un bilancio e, per farlo, parte da lontano. Prova a tracciare una storia dell'antagonismo, usando un artificio: muove dagli indiani d'america e dal loro impatto colla civiltà occidentale per arrivare agli "indiani metropolitani" e al movimento del '77, che chiude il decennio cominciato nel 1968.

De André ci parla, in questa canzone scritta nel 1978, dell'ultimo vero conflitto che ha segnato la società italiana: quello fra l'estrema sinistra e il più grande partito comunista d'europa, incapace nella sua totale cecità di sfruttare la vittoria elettorale del 1975, impegnato com'era a fare professione di moralismo e di austerità!

Il dio degli inglesi "sono" i valori della borghesia che vengono usati per far presa sull'animo di una classe che esce fuori dalla resistenza e dalla liberazione! Questi ultimi impersonati dal nonno.

Il dio perdente è lo spauracchio agitato, negli anni cinquanta, contro i primi sprazzi di ribellione giovanile, che assumono anche i connotati tipici delle bande giovanile e dei "teddy boys"!
L'alternativa? Un impiego da ragioniere!

Il dio goloso è quello capace di eliminare, fagocitandoli, i partigiani che non avevano smesso di credere che la liberazione avrebbe dovuto portare a ben altri risultati!

Il dio della scala ci parla della prima contestazione che, in italia, ebbe l'eco della stampa. Ci parla delle uove marce scagliate contro gli invitati alla prima della scala, in un'italia già e ancora divisa in due. Ci parla della prima "violenza" collettiva fatta e subita da parte di una generazione che si affacciava, allora, alla storia.

Il dio a lieto fine, che manca, è quello che ad un decennio di lotte e di contestazione risponde con il numero chiuso nelle università, incapace di recepire le istanze che scaturivano dalla società di allora. La strada viene, in qualche modo tracciata!

Ed arriviamo a generale capelli corti (Luciano Lama) che incarna l'deologia più becera fondata sui valori assurdi del lavoro (il dio fatti il culo) che davanti al più imponente movimento che anima l'italia del dopo guerra non trova niente di meglio da fare che attuare la sua squallida provocazione alla sapienza di roma (il little big horn). E' la più grande vittoria del movimento, ma anche l'inizio della sconfitta!

L'ultima strofa ci parla della lotta senza sbocco alcuno, la lotta armata da una parte e i sommovimenti culturali dall'altra(i teatri di posa dove scaricare la propria rabbia, quasi una sorta di feroce autocritica!). E la loro tragica separazione (ne riparlerà ne La domenica delle salme a proposito dei cantautori e delle loro voci potenti per il "vaffanculo"). La risposta individuale ai problemi della sopravvivenza (la pesca con le bombe a mano), gli atti di eroismo inutili da parte di chi continuava a lottare nelle piazze e nelle fabbriche.
Rimangono solo pochi disperati, sparuti, che hanno perso la memoria e sparano anche a chi, tutto sommato, non meriterebbe una tale sorte!
Il cerchio si chiude: la risposta che rimane ai loro falsi dei è un povero dio senza fiato e senza speranza che si gloria di questo suo tragico modo d'essere!

Testo

Quando ero piccolo m'innamoravo di tutto correvo dietro ai cani
e da marzo a febbraio mio nonno vegliava
sulla corrente di cavalli e di buoi
sui fatti miei sui fatti tuoi

e al dio degli inglesi non credere mai.

E quando avevo duecento lune e forse qualcuna è di troppo
rubai il primo cavallo e mi fecero uomo
cambiai il mio nome in "Coda di lupo"
cambiai il mio pony con un cavallo muto

e al loro dio perdente non credere mai

E fu nella notte della lunga stella con la coda
che trovammo mio nonno crocifisso sulla chiesa
crocifisso con forchette che si usano a cena
era sporco e pulito di sangue e di crema

e al loro dio goloso non credere mai.

E forse avevo diciott'anni e non puzzavo più di serpente
possedevo una spranga un cappello e una fionda
e una notte di gala con un sasso a punta
uccisi uno smoking e glielo rubai

e al dio della scala non credere mai.

Poi tornammo in Brianza per l'apertura della caccia al bisonte
ci fecero l'esame dell'alito e delle urine
ci spiegò il meccanismo un poeta andaluso
- Per la caccia al bisonte - disse - Il numero è chiuso.

E a un Dio a lieto fine non credere mai.

Ed ero già vecchio quando vicino a Roma a Little Big Horn
capelli corti generale ci parlò all'università
dei fratelli tutte blu che seppellirono le asce
ma non fumammo con lui non era venuto in pace

e a un dio fatti il culo non credere mai.

E adesso che ho bruciato venti figli sul mio letto di sposo
che ho scaricato la mia rabbia in un teatro di posa
che ho imparato a pescare con le bombe a mano
che mi hanno scolpito in lacrime sull'arco di Traiano
con un cucchiaio di vetro scavo nella mia storia
ma colpisco un po' a casaccio perché non ho più memoria

e a un dio senza fiato non credere mai