Cantico dei drogati
Fabrizio De André, Riccardo Mannerini
Universal Music Publishing Ricordi Srl
Dalla mailing list su De André
inviato il 16.11.2001 autore: RICCARDO VENTURI
titolo originale: CANTICO DEI FOLLETTI DI VETRO
--------------------------------------------------------------------------------
"Riccardo Mannerini era un altro mio grande amico. Era quasi cieco perche' quando mavigava su una nave dei Costa una caldaia gli era esplosa in faccia. E' morto suicida, molti anni dopo, senza mai ricevere alcun indennizzo. Ha avuto brutte storie con la giustizia perche' era un autentico libertario, e cosi' quando qualche ricercato bussava alla sua porta lui lo nascondeva in casa sua. E magari gli curava le ferite e gli estraeva i proiettili che aveva in corpo. Abbiamo scritto insieme il Cantico dei Drogati, che per me, che ero totalmente dipendente dall'alcool, ebbe un valore liberatorio, catartico. Pero' il testo non mi spaventava, anzi, ne ero compiaciuto. E' una reazione frequente tra i drogati quella di compiacersi del fatto di drogarsi. Io mi compiacevo di bere, anche perche' grazie all'alcool la fantasia viaggiava sbrigliatissima."
(Fabrizio de Andre', in "Come un'anomalia", pp. 59-60)
________________________________________________________________________
Mi e' capitato abbastanza spesso, negli ultimi tempi, di parlare del "Cantico dei Drogati". Con Franco Senia, ad esempio; si diceva che questa canzone, in realta', parla di ogni cosa fuorche' dei drogati; oppure con un'amica alla quale, una sera, l'ho cantata nel silenzio assoluto, senza nessun accompagnamento. Me lo aveva chiesto lei, e non sto a spiegarvene il perche'; c'e', d'altronde, di mezzo cio' che una madre puo' avere di piu' caro.
"Grazie all'alcool la fantasia viaggiava sbrigliatissima", dice Fabrizio de Andre'; e, assieme al suo amico anarchico, poeta, marinaio e cieco, viene nelle nostre menti a parlarci dei Folletti di Vetro, di un Osceno Gioco e, gia', di una madre al quale non si sa come confessare la propria paura.
I Folletti di Vetro, quale forma avranno? La forma di una bottiglia?
Li conosco. Conosco il non saper esprimere quella paura, e sono uno di quelli cui non ha fatto eccessivo piacere, per tanto tempo, ascoltare il Cantico dei Drogati. Una di quelle canzoni da saltare a pie' pari, insomma; una canzone, eppure, che riesce sempre a risuonare dentro.
I Folletti di Vetro dalle forme variabili; quella di bottiglia e' solo, quasi sempre, un'apparenza esteriore.
I Folletti di Vetro sono dentro di noi; sono loro che giocherellano a palla con il nostro cervello. A palla e a carte; si divertono, in una perversa Disamistade, a sparigliare destino e fortuna.
Hanno, a volte, dei precisi nomi scientifici. Parole di origine greca.
Classificazioni, difficili e gelide classificazioni.
Ti fanno prendere la bottiglia in mano, quando non ci stai piu'. Ti fanno prendere la bottiglia, la siringa, il laccio. Licenzi da te stesso; e che importa se la lettera di risoluzione viene spedita anche a Dio o a un amore. Puo' darsi che Dio e l'amore siano solo altre forme esterne assunte dai Folletti, al pari della bottiglia. I fantasmi nutrono la fantasia, ed e' di quei fantasmi che parlava Fabrizio; di fantasmi e di speranze. Parlava di una "catarsi", di una purificazione; ne parlava assieme ad un altro che, come lui, voleva sentire riparlare di domani luminosi.
Riccardo Mannerini; quante volte mi son detto che quest'uomo portava il mio stesso nome. Marinai per destino o per forza; Riccardo che non vedeva oramai piu' che il folletti, dato che la luce nei suoi occhi s'andava spegnendo sempre di piu'. Gli occhi regalati ai padroni, i suoi occhi per loro. Nessuno glieli ridiede, neanche come i fiori restituiti in novembre. Oggi e' novembre.
I Folletti di Vetro che danzano, danzano.
La "Totentanz" della propria esistenza.
La nave dei folli, die Narrenschiff.
C'e' sempre una nave che aspetta.
Ho vissuto la mia morte in anticipo, per questo non mi ricordo e non mi ricordero' mai di quei dieci giorni di viaggio. Non ho avuto nessuno cui dire che avevo paura. Dieci giorni dentro quella paura, fumando, bevendo e cacandomi addosso.
Perche' si registrava il mondo da una posizione sotterranea, disconoscendosi sempre e variando il possibile in frammenti di verita' che uscivano fuori dalle orecchie nelle quali, chissa' come, erano entrati un giorno.
Scrivendo libri senza parole con l'inchiostro di gesti comuni, il cui senso e' il motore della vita. Liberi senza liberta', miscugli di umanita' e pietra, di canzoni e di silenzio. E chi sara' mai il buttafuori del sole? Lo avra', poi, buttato fuori sul serio?
Ad un tratto piove dal cielo il rumore supremo, e si vuole scappar via dagli artigli di d�i e demoni. Quasi si vuole respirare un po' l'aria falsamente balsamica dell'inesistenza. Mangiare terra, bere, bere e dormire nudi. Vicini all'ingresso sconosciuto dell'amore, si vola registrando mondi differenti; ma sempre da una posizione sotterranea.
Un giorno, esplodendo come una caldaia, i folletti decidono di andarsene; vanno, peraltro, altrove. Puo' darsi che i miei stiano ballando nella mente di qualcun altro, che lotta per liberarsene oppure non lotta affatto. Assumono le loro forme; forse sono quelli di Fabrizio, di Riccardo Mannerini, di ognuno di noi. Di ognuno di noi che ha paura, ma che sta imparando finalmente alfabeti diversi. E' bello vedere, accorgersi che dei segni sconosciuti stanno prendendo un significato.
Parole. L'infinito lo costruisce chi ha le parole. Solo chi sa costruire parole avra' l'infinito.
Un giorno uniremo i frammenti di questo infinito per costruire la liberta'.
Io credo che di questo volessero parlare Fabrizio de Andre' e Riccardo Mannerini in quella canzone. Non ne sono certo, ovviamente; non ho e non voglio avere certezze.
I Folletti di Vetro potrebbero essere sulla terrazza o qui, sul mio tavolo. Potrebbero desiderare di nuovo di giocherellare a palla. E' necessario stare sempre attenti, sempre. Essere sempre vigili.
E vorrei dedicare queste cose a Francesco ed a sua madre. Lei conosceva la sua paura, lui ha avuto il coraggio di esprimerla. Via tutti i giorni, via tutte le sere dalla pattumiera. Sigilliamola per sempre. Sotto il sole, senza buttafuori!
Ho licenziato Dio
gettato via un amore
per costruirmi il vuoto
nell'anima e nel cuore.
Le parole che dico
non han più forma né accento
si trasformano i suoni
in un sordo lamento.
Mentre fra gli altri nudi
io striscio verso un fuoco
che illumina i fantasmi
di questo osceno giuoco.
Come potrò dire a mia madre che ho paura?
Chi mi riparlerà
di domani luminosi
dove i muti canteranno
e taceranno i noiosi
quando riascolterò
il vento tra le foglie
sussurrare i silenzi
che la sera raccoglie.
Io che non vedo più
che folletti di vetro
che mi spiano davanti
che mi ridono dietro.
Come potrò dire la mia madre che ho paura?
Perché non hanno fatto
delle grandi pattumiere
per i giorni già usati
per queste ed altre sere.
E chi, chi sarà mai
il buttafuori del sole
chi lo spinge ogni giorno
sulla scena alle prime ore.
E soprattutto chi
e perché mi ha messo al mondo
dove vivo la mia morte
con un anticipo tremendo?
Come potrò dire a mia madre che ho paura?
Quando scadrà l'affitto
di questo corpo idiota
allora avrò il mio premio
come una buona nota.
Mi citeran di monito
a chi crede sia bello
giocherellare a palla
con il proprio cervello.
Cercando di lanciarlo
oltre il confine stabilito
che qualcuno ha tracciato
ai bordi dell'infinito.
Come potrò dire a mia madre che ho paura?
Tu che m'ascolti insegnami
un alfabeto che sia
differente da quello
della mia vigliaccheria
CÁNTICO DE LOS DROGADOS
He licenciado a Dios, malgastado un amor
Construyéndome un vacío en el alma y el corazón.
La palabras que digo no tienen forma ni acento,
se transforman los sonidos en un sordo lamento.
Mientras entre los otros desnudos yo me arrastro hacia un fuego
que ilumina los fantasmas de este obsceno juego.
¿Cómo podré decir a mi madre que tengo miedo?
¿Quién me hablará de nuevos días luminosos
donde los mudos canten y callen los tediosos?.
¿Cuándo oiré de nuevo el viento entre las hojas
susurrando los silencios que la tarde recoja?
Yo, que no veo más que duendes de cristal,
que me espían delante, que se ríen detrás,
¿cómo podré decir a mi madre que tengo miedo?
¿Por qué no han hecho grandes estercoleros
para los días ya gastados, para esta y otras noches?
¿Y quién, quién será el centinela del sol
que lo empuja cada día
a escena a primera hora?
Y sobre todo ¿quién y por qué me han puesto en el mundo
donde vivo mi muerte con un anticipo tremendo?
¿Cómo podré decir a mi madre que tengo miedo?
Cuando venza el alquiler de este mi cuerpo idiota,
recibiré un premio como una buena nota.
Me citarán de ejemplo a quien crea que es bello
jugar a la pelota con el propio cerebro,
intentando mandarlo fuera del límite establecido
que alguno ha trazado al borde del infinito.
¿Cómo podré decir a mi madre que tengo miedo?
Tú que me escuchas, enséñame un alfabeto que sea
diferente al de mi bellaquería.
by Mercedes Sanchez Marco