Ballata degli impiccati

Durata
3.05
Autori

Fabrizio De André, Giuseppe Bentivoglio

Editore musicale

Universal Music Publishing Ricordi Srl

FAQ

Tratto dalla mailing list Fabrizio

From:  cleopatra <cleo.patra@tiscalinet.it>
Reply-To: fabrizio@yahoogroups.com
 
Subject: [fabrizio] Ballata degli Impiccati
Date: Mon, 06 May 2002 21:21:35 +0200
 
E' una delle poche canzoni rabbiose di Faber, questa. Forse l'unica. Di solito Faber è spietato ma con distacco, mai con rancore. I suoi personaggi, morti - perchè son quasi sempre morti, o fermi, o comunque lontani dalla realtà - sono in genere rassegnati, e ci raccontano la loro vita, le loro piccole passioni, e con una feroce ironia anche il momento della loro morte.

Gli impiccati, anonimi, muoiono nel momento in cui cantano, e cantando non riescono a perdonare, ma soltanto a lanciare invettive, contro il mondo intero.

E' una canzone che ho sempre ascoltato con disagio - e cantato sottovoce.
Possibilmente leggevo le parole, ma non avevo il coraggio di pronunciarle.

Stasera l'ho cantata. E ho pensato che ognuno di noi in qualche momento nella sua vita ha bisogno di dire parole come queste. Non perchè si senta pendere da un ramo.

Ma perchè ognuno degli impiccati che dondola ha più vita di tante persone vive, e cerca di rimanerci attaccato con l'ultimo fiato, con l'ultimo respiro. A volte l'unica cosa che ci spinge ad andare avanti è la rabbia, il rancore sospeso, che non ha l'odore del sangue rappreso ma magari di un dolore lontano, che non si è mai cicatrizzato.

Nessuno di noi ha paura delle proprie ferite, di quelle più profonde, che non mostra, e che lo spingono ad andare avanti, a scalciare, a combattere, a riprendere fiato.

ciao Franco,
Lilia


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Testo

Tutti morimmo a stento
ingoiando l'ultima voce
tirando calci al vento
vedemmo sfumare la luce.

L'urlo travolse il sole
l'aria divenne stretta
cristalli di parole
l'ultima bestemmia detta.

Prima che fosse finita
ricordammo a chi vive ancora
che il prezzo fu la vita
per il male fatto in un'ora.

Poi scivolammo nel gelo
di una morte senza abbandono
recitando l'antico credo
di chi muore senza perdono.

Chi derise la nostra sconfitta
e l'estrema vergogna ed il modo
soffocato da identica stretta
impari a conoscere il nodo.

Chi la terra ci sparse sull'ossa
e riprese tranquillo il cammino
giunga anch'egli stravolto alla fossa
con la nebbia del primo mattino.

La donna che celò in un sorriso
il disagio di darci memoria
ritrovi ogni notte sul viso
un insulto del tempo e una scoria.

Coltiviamo per tutti un rancore
che ha l'odore del sangue rappreso
ciò che allora chiamammo dolore
è soltanto un discorso sospeso

Traduzioni
Finnish

Hirtettyjen balladi

Kovan kuoleman me kuolimme,
viimeiset sanamme niellen,
jalat ilmassa sätkien,
kun valo silmissämme hiipui.

Huutomme hukutti auringon,
ilma puristui ympärillemme,
sanamme muuttuivat kristalliksi
viimeisen kirouksemme myötä.

Ennen kuin kaikki oli loppu
olimme merkki eloonjääville,
että elämä oli hinta
yhden tunnin pahuudesta.

Sitten luisuimme kylmyyteen,
kuolemaan ilman hyvästejä,
huulilamme ikivanha uskontunnustus
niiden, jotka anteeksiannotta kuolevat.

Se joka pilkkasi tappiotamme,
sen tapaa ja ääretöntä häpeää,
kuolkoon samaan hirttoköyteen,
tuntekoon kaulallaan saman solmun.

Se joka heitti multaa luillemme
ja vailla huolta matkaansa jatkoi,
kasvot irveessä hautansa kohdatkoon
varhaisen aamun autereessa.

Se nainen joka kätki hymyn taakse
haluttomuutensa muistaa meitä,
nähköön joka yö kasvoillaan
ajan hampaan armottomat jäljet.

Jokaista kohtaan me tunnemme vihaa,
jossa on vuodatetun veren haju.
Se mitä silloin kutsuimme tuskaksi,
on vain kesken jäänyt keskustelu.

© Juha Rämö, 2016

Español

BALADA DE LOS AHORCADOS
Todos morimos en agonía, engullendo nuestra última voz,
dando patadas al viento vemos esfumarse la luz.

El grito arrolló al sol, el aire se volvió espeso,
cristales de palabras, la última blasfemia dicha.

Antes de que todo acabe recordamos a quien aún vivía
que el precio fue la vida por el mal de una sola hora.

Luego resbalamos en el hielo de una muerte sin abandono,
recitando el antiguo credo de quien muere sin perdón.

Quien se mofó de nuestra derrota y de la extrema vergüenza y del modo,
sofocado por idéntico apremio aprenda a sentir el nudo.

Quien con tierra cubrió nuestros huesos y retomó tranquilo el camino
llegue también descompuesto a la fosa
 con la primera niebla del día.

La mujer que escondió en una sonrisa su disgusto por darnos memoria
encuentre cada noche en su rostro
un insulto del tiempo, una escoria.

Cultivamos hacia todos un rencor
que huele a sangre cuajada,
lo que ahora llamamos dolor es solo un discurso aplazado.


by Mercedes Sanchez Marco