1967 Volume I (testi) ( Note inserite nel disco, sia nel 1967 sia nel 1970)
1 - Preghiera in Gennaio (Testo e Musica di Fabrizio De André) .. .. .. .. .. .. .. .. ..3'28"
2 - Marcia Nuziale
(Testo italiano Fabrizio De André - Testo e Musica di Georges Brassens) . . .3'10"
3 - Spiritual (Testo e Musica di Fabrizio De André) ..... . . . . . . . . .
..................................2'34"
4 - Si chiamava Gesù (Testo e Musica di Fabrizio De André) ..... . . . . . .......................3'09"
5 - Barbara (Testo e Musica di Fabrizio De
André) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ... . . . . 2'17"
6 - Via del Campo(1) (Testo di Fabrizio De André - Musica di Enzo Jannacci) . . . . . . . 2'31"
7 - Caro amore/ La
stagione del tuo amore (2) (Testo di Fabrizio De André - Musica di Joaquin Rodrigo)3'57"
8 - Bocca di rosa(1) (Testo e Musica di Fabrizio De André) . . . . . . . . . . . . . . . . . ... . .
.3'05"
9 - La morte [Le verger du roi Louis] (Testo Fabrizio De André - Musica di Georges Brassens) . ... . 2'22"
10 - Carlo Martello ritorna dalla battaglia di Poitiers
(Testo di Fabrizio De André e Paolo Villaggio - Musica di Fabrizio De André) . . . . . . . ... . . . .5'21"
Prodotto
da Giampiero Reverberi e A. Malcotti
(1) Arrangiamenti e direzione orchestra di Giampiero Reverberi
(2) Musica tratta da "Concerto di Aranjuez" di
Joaquin Rodrigo
Nelle tarde edizione del 1967 al posto di "Caro amore" venne messa "La stagione del tuo amore"
Via del campo: musica del XVI secolo, tratta da una ricerca di Dario Fo e Enzo
Jannacci
Carlo Martello: nuova esecuzione rispetto al 45 giri KARIM
(BB LP 39
clicca x ingrandire)
(BB LP 39
clicca x ingrandire)
EDIZIONI:
1967 Bluebell Records BBLP 39 ( MONO )
copertina marrone apribile, con "Caro amore" – note interne scritte da Giuseppe Tarozzi –
Bocca di Rosa che recita "il cuore tenero…….." e "San Vicario".
1967 Bluebell Records BBLP 39 ( STEREO )
copertina fotografica su carta lucida, non apribile e con gli angoli arrotondati - con "Caro
amore"
note interne scritte da Cesare G. Romana, inserite sulla busta interna – Bocca di Rosa che recita "spesso gli sbirri……….."
e "Sant'Ilario".
1970 1a Edizione Produttori Associati BBLP 39
copertina Bluebell previa applicazione di un adesivo con la sequenza dei brani
modificata ("La stagione del tuo amore"
al posto di "Caro amore" ) – Label con logo P.A. (Produttori Associati) a 270° - sulla busta interna viene
incollato il
testo di "La stagione del tuo amore" ).
1970 2a Edizione Produttori Associati PA-LPS 39
copertina laminata senza angoli arrotondati – Label con logo P.A. a 180° - "La stagione del tuo amore" sostituisce
definitivamente
"Caro amore".
1970 3a Edizione Produttori Associati PA-LPS 39
copertina opaca senza angoli arrotondati – Label con logo P.A. 180°.
1978
1a Edizione Ricordi SMRL 6236
etichetta arancione/bianca - Bocca di rosa con "spesso gli sbirri...".
1978 2a Edizione Ricordi
SMRL 6236
etichetta azzurra – Label senza la scritta "Dischi Ricordi s.p.a." - Bocca di rosa con "spesso gli sbirri..."
1978
3a Edizione Ricordi SMRL 6236
etichetta azzurra – Label con la scritta "Dischi Ricordi s.p.a." - Bocca di rosa con "spesso gli sbirri..."
1983
1a Edizione Ricordi Orizzonte ORL 8898 (copertina diversa)
Label di colore viola senza la scritta "Dischi Ricordi s.p.a.".
1983 2a Edizione
Ricordi Orizzonte ORL 8898 (copertina diversa)
Label di colore viola ( varie tonalità ) con la scritta "Dischi Ricordi s.p.a.".
1987
Ricordi CDMRL 6236 (CD),
1991 Ricordi Orizzonte CDOR 8898 (CD),
1995 BMG-Ricordi RIK 76493 cassetta stereo 7
1995 BMG-Ricordi CDMRL 6493 (CD)
2002 BMG-Ricordi 74321974572 (CD) 24 bit
remastering
2009 SONY BMG 88697454692 (CD)
2009 Gruppo Editoriale L'Espresso 1
2009 SONY MUSIC RCA 886975 997510 - Vinile rosso
2010 SONY MUSIC RCA 886976 68851 - doppio vinile a 45 giri
.
(BB LP 39
Edizione con "Caro Amore (clicca x ingrandire - by Lucio)
BB LP39 Edizione senza "Caro Amore"
con copertina "corretta"
(clicca x ingrandire)
(ORL8898 RICORDI
clicca x ingrandire)
(ORL8898 RICORDI
clicca x ingrandire)
(CDOR8898
clicca x ingrandire)
(CDOR8898
clicca x ingrandire)
(CDMRL 6493
clicca x ingrandire)
(BMG RICORDI 743219745729
clicca x ingrandire)
Gruppo Editoriale L'Espresso - 1
E' disponibile anche la versione a 45 giri, su due LP.
(SONY MUSIC RCA 886975 997510)
Ristampa su vinile ROSSO
Contrariamente a quanto indicato in copertina, sul vinile non c'è Caro amore
Il commento di Walter(pi)
Il Volume I di De André contiene la canzone che inizialmente mi avvicinò al grande Fabrizio: Via del Campo. E' una bella ballata, nello stile tipico del primo De André (molto testo, un filo di
arrangiamenti). E poi "Via del campo c'é una puttana...", una parolaccia che non poteva che attirare l'attenzione di un giovincello come me (e molti altri ancora, in effetti).
Acquistato
(diversi anni dopo aver sentito Via del Campo) l'LP, mi sono stupito della bellezza dell'insieme. La Preghiera in Gennaio è struggente e bellissima (solo da
poco ho saputo che era dedicata a Luigi Tenco). La Marcia
Nuziale (derivata da Brassens) è una bella storia, affascinante e toccante. La diversità qui sta nel fidanzamento di 25 anni e del figlio che "suona l'armonica come un'organo da chiesa".
Spiritual è un
vero spiritual, a mio parere molto ben riuscito (peccato che De André non ne ha scritti altri).
La stagione del tuo amore è dolcissima, come poche canzoni del repertorio di Fabrizio. Bocca di Rosa è un'altra canzone
famosissima, ma che non mi ha mai "toccato veramente" (bestemmia! bestemmia!), come pure Carlo Martello.
Ma quelle citate valgono ampiamente il disco.
NOTE NELL'EDIZIONE DEL 1967
Definire un cantante è sempre qualcosa di molto difficile ma lo diventa ancora di più quando questo cantante è
Fabrizio De Andrè, un personaggio schivo, al quale male si addicono gli echi mondani, i clamori della prima pagina. Introverso, anche, proprio come ogni ligure che si rispetti, forse diffidente del primo contatto umano e
tutto dedito sempre al suo "particulare". (che è, poi, scriversi delle canzoni e cantarle, non importa se in una sala di incisione, o fra le mura di casa sua, per un grande pubblico o per quattro amici.
Quello che interessa è cantare, per esprimersi, per conoscere, per trasmettere delle proprie impressioni. Tutto qui. Ogni altra definizione sarebbe aleatoria e arbitraria. E' vero che Fabrizio è stato classificato - e con qualche giustificazione reale - come "cantante intellettuale", come "il cantante che fa rivivere il menestrello medioevale, il troubador provenzale". Ed è sicuramente altrettanto vero che dietro a Fabrizio esistono una solida cultura, delle buone letture, un dialogo coi poeti del passato.
Tanto per divertirci in un gioco di elencazioni potremmo fare alcuni nomi: un Villion, certi "poeti di piazza" della
Francia prima di Montaigne, oppure i più vicini e più nostri Boudelaire, Verlaine, Rimbaud. Ma tutto ciò è marginale, anche se gioca il suo ruolo nella formazione del mondo creativo di Fabrizio De Andrè. Si prenda, per
spiegarci meglio, la canzone "Preghiera in Gennaio" (forse l'esempio limite della gamma di toni di questo
cantautore): basterebbe l'inizio, "Lascia che sia fiorito / Signore il suo sentiero", oppure certe immagini come "fate
che giunga a Voi con le sue ossa stanche", per capire subito un clima, un entroterra culturale. Per capire che
anche il De Andrè - e sia detto senza voler far comparazioni impossibili - si è lasciato tentare dalla "rima fiore / amore / la più antica, difficile del mondo".
Ma poi c'è la musica, così popolare, cosi melodicamente cantabile, così da romanza. E questa musica di colto, di
intellettuale, di "commercio coi poeti" non ha proprio nulla. E allora si evidenzia l'altro aspetto del De Andrè, un
aspetto fatto di attaccamento alle più pure ragioni popolari, veramente, autenticamente popolari della canzone italiana. Di modo che questo ligure introverso, chiuso, schivo, riesce ad aprirsi ad un lirismo immediato,
mediterraneo, che può anche essere imparentato (e l'accostamento non sorprenda) da un lato con la canzone francese d'oggi - un Brassens - e dall'altro con quella napoletana dell'Ottocento.
Ma l'ascolto attento delle canzoni contenute in questo L.P., così diverse fra loro e pure così simili, potrà indicarci altre inclinazioni di gusto e di atteggiamento proprie di De Andrè. Inclinazioni decadenti, senza dubbio, ma anche di deformazione e di satira, di umori boccacceschi e picareschi ("Via del Campo", "Carlo Martello", "Bocca di rosa") che balenano qua e là improvvisi e nei versi e nelle inflessioni della voce. Voce che si muta e si plasma ad ogni diversa situazione che via via va cantando e raccontando. Voce che diventa uno strumento, un mezzo non per giustificare il "bel canto", ma per dare colori e toni alla storia, alla favola che in quel momento si racconta.
Perché, se è vero che Fabrizio De Andrè nelle sue canzoni si ispira sempre alla realtà, a fatti veri o che potrebbero essere veri, è altrettanto vero che questo non è che il punto di partenza. Quello di arrivo è la favola, il fatto che diventa simbolo. Certo, la cosa ha i suoi rischi, i suoi limiti, che sono poi quelli del bozzetto. Ma quando l'operazione riesce, allora si ottengono bellissime canzoni, come la celeberrima "Carlo Martello", o la recentissima "Bocca di Rosa" che "metteva l'amore sopra ogni cosa", canzone che ha il sapore di una ballata popolare con quel suo andamento, allegro e gioioso, a saltarello.
Di quando in quando l'inchiostro del De Andrè diventa triste e amaro, quasi cattivo. E' il caso di "Marcia
Nuziale", una canzone che ha il sapore di una disperata malinconia, come di una rivincita andata a vuoto, di una
sfida persa, con il ragazzo già grande che assiste alle nozze dei suoi genitori, accompagnandole suonando "con la
gola tesa l'armonica come un organo da chiesa". Oppure la ballata sulla morte, vista come "l'estrema nemica",
una nemica che "non serve colpirla nel cuore / perché la morte mai non muore". Gli esempi potrebbero continuare, ma questi possono bastare. E poiché la chiacchierata rischia di diventare troppo lunga bisognerà
cercare una plausibile conclusione, come questa che tentiamo: in fondo ad ogni canzone del De Andrè c'è
sempre l'uomo. L'uomo con le sue miserie e le sue gioie, le sue poche vittorie e le sue molte sconfitte e, soprattutto, col suo inesauribile bisogno di amore e di speranza.
Giuseppe Tarozzi
NOTE INSERITE NELL'EDIZIONE DEL 1970
Via del Campo è una straducola stretta e tortuosa nel cuore di Genova vecchia. Appartiene a quella rete di vicoli
che, collocate a ridosso dell'angiporto fa storcere il naso ai Catoni della società bene, ma piace al poeti. Piace,
dunque, a Fabrizio, che già in altra occasione ne ha cantato « l'aria spessa carica di sale e gonfia di odori », che si
sposa al tanfo della spazzatura accumulata lungo i marciapiedi, all'odor di vino e di fumo che esce dalle bettole
(poco distante, all'imbocco della via, l'ombra austera di una chiesa e la sede della «Protezione della giovane» sembrano messe lì a bella posta da un folletto in vena di sfottò).
Qui viene spesso Fabrizio, che è -a suo modo- un poeta e come tale ama scoprire il fondo delle cose, il colore
autentico della realtà umana che è fatta anche di miseria, di tristezza, di inutili attese e di disattese promesse.
E' sempre stato un tema caro a Fabrizio, quello dell'uomo scrutato - e amato - nei capitoli più amari, nei risvolti
fallimentari della sua storia. Che è essenzialmente, per lui, storia di agognati ma tanto spesso irraggiunti traguardi,
di fronte alla cui evidenza diventa inutile la speranza illusoria e la ribellione pigmeiforme di chi vorrebbe opporre
la propria fragile volontà alla violenza gigantesca del destino sempre pronto, quest'ultimo, a dissolvere con un
colpo di spugna i poveri fantasmi che colorano i sogni dell'uomo con le luci di un impossibile paradiso.
Ecco perché non mi ha affatto stupito - alla luce di quanto avevo intuito dalla affettuosa consuetudine con lui
uomo e con lui artista - che Fabrizio abbia composto, giunto ad un certo stadio della sua parabola creativa, «Via
dei Campo». Che non è soltanto una pagina di amarissima poesia, ma, soprattutto, il ritratto emblematico di una
condizione umana, la dimostrazione di quanto possa essere disagevole - oltre che improduttivo - il mestiere di vivere.
In questa cornice vivono i personaggi di Fabrizio e si consuma la loro attesa, che ha già in sé i germi del proprio
nulla. Così la «graziosa» di Via dei Campo, la bambina ai cui piedi nascono i fiori, ma che «vende a tutti la stessa
rosa» , la puttana che non potrà mai offrire altro che un paradiso provvisorio e, tutto sommato, l'inutile
incantesimo di un quarto d'ora. Così il povero «illuso» che viene a cercare fra il letame, i fiori di un impossibile, assurdo amore. Così, in fondo, tutti noi. E allora?
Si vorrebbe credere, si vorrebbe sperare. Ma in che cosa, e in chi? Può accadere che nasca nel buio dei cuore la tentazione di una preghiera. Ma Dio dov'è?
«Dio dei cielo, se mi vorrai amare scendi dalle stelle e vienimi a cercare...». Noi non sappiamo individuare il
confine che separa il sorriso dal pianto indicacelo Tu: « le chiavi dei cielo non ti voglio rubare / ma un attimo di gioia me lo puoi regalare... ».
Ecco allora, finalmente, profilarsi l'ombra di una speranza.
Fiducia, se non altro, in una giustizia finale che arriverà ad invertire le posizioni, castigando chi troppo ha goduto
(« chi bene condusse sua vita male sopporterà sua morte »), affrancando chi troppo ha sofferto: « partirvene non
fu fatica / perché la morte vi fu amica ». E' l'epilogo che il suicida di « Preghiera in gennaio » sceglie come unica
alternativa « all'odio e all'ignoranza» che avvelenano la terra: «Lascia che sia fiorito, Signore, il suo sentiero...» .
Non c'è altra certezza, non altro rimedio è lecito supporre al nostro male di vivere: «Dio di misericordia il tuo bel
paradiso / l'hai fatto soprattutto /per chi non ha sorriso,/ per quelli che han vissuto/ con la coscienza pura: l'inferno esiste solo per chi ne ha paura ».
E prima? Diceva Ungaretti: «La morte si sconta vivendo». Nessuno si salva da questa legge, neppure coloro che Fabrizio chiama semidei, i fortunati. Come quel Carlo Martello il cui rango regale non vieta ad una qualsiasi
sgualdrinella di sottoporlo ad una atroce turlupinatura; neppure coloro che, avendo raggiunto alle spalle degli altri
una aleatoria felicità, troveranno il loro castigo quando la morte, «estrema nemica», verrà a rammentare loro «l'infinita vanità dei tutto».
Lungo queste costanti la meditazione di Fabrizio nasce e procede con frutti di una concretezza tanto più tangibile
quanto più diretto - e sofferto - è il suo approccio con la realtà. E se a taluni troppo ampio potrà sembrare lo
spazio che Fabrizio concede ad un pessimismo apparentemente distruttivo, non va dimenticato come esso trovi le proprie radici in un atto d'amore per l'Uomo, di ansia per la sua salvezza.
Cesare G. Romana