1968 Tutti morimmo a stento (testi) ( Note inserite nel disco)
(Cantata in Si minore per coro e orchestra)
Per la Leggenda di Natale: testo ispirato a Le Père Noël e la petite fille di Georges Brassens.
Orchestra Philarmonia di Roma e coro P.
Carapellucci diretti da Giampiero Reverberi
Collaborazione alle musiche e orchestrazione di Giampiero Reverberi
Assistenza tecnico-artistica Gianfranco Reverberi
Tecnico di registrazione Giorgio Agazzi
Registrato
negli studi RCA di via Tiburtina a Roma nell'agosto 1968
BBLP 32 (cover by Lucio)
retro identico
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PA/LPS
32
retro identico
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Edizioni:
1968 1a EDIZIONE Bluebell
records BB/LP 32
(vinile numerato / pochissime copie con la scritta "Cantata in Si minore per solo, coro e orchestra" sotto il
titolo
in basso a destra) – angoli arrotondati – canzoni non divise – matrice datata 21-11-'68.
1968 1a EDIZIONE Bluebell records BB/LP 32
(vinile numerato / pochissime copie con la scritta "Cantata in Si minore per solo, coro e
orchestra" sotto il titolo in basso a destra ) – angoli arrotondati – canzoni divise (sul lato B) –
matrice priva di data - questa e' l'edizione meno comune.
1971 1a EDIZIONE Produttori Associati PL/LPS 32 –
senza angoli arrotondati – Label con logo P.A. 270° e la scritta STEREO al centro – matrice BB LP 32.
1971 2a EDIZIONE Produttori Associati PL/LPS 32 –
senza angoli arrotondati – Label con logo P.A. 180° e la scritta STEREO nel lato sx sopra la dicitura
"33 giri" e "S.I.A.E." – matrice PA LPS 32.
1978 1a EDIZIONE Ricordi SMRL 6229 –
Label di colore arancione/bianca.
1978
2a EDIZIONE Ricordi SMRL 6229 –
Label di colore azzurra – senza la scritta "Dischi Ricordi s.p.a.".
1978 3a EDIZIONE Ricordi SMRL
6229 –
Label di colore azzurra – con la scritta "Dischi Ricordi s.p.a.".
1983 1a EDIZIONE
Ricordi Orizzonte ORL 8901 -
copertina diversa (sfondo scuro) – Label di colore viola ( diverse tonalità ) - senza la scritta
"Dischi Ricordi s.p.a.".
1983 2a EDIZIONE Ricordi Orizzonte ORL 8901 -
copertina diversa (sfondo
scuro) – Label di colore viola ( diverse tonalità ) - con la scr "Dischi Ricordi s.p.a.".
1987 3a edizione Ricordi Orizzonte ORL 8901 con codice a barre sul retro
1987 CD Ricordi CDMRL 6229
1989 CD Ricordi Orizzonte CDOR 8901
1995 CD BMG Ricordi CDMRL 6496
2002 CD BMG-Ricordi 74321974562
2009 CD Sony BMG 88697454672
2009 CD Gruppo Editoriale
l'Espresso 2
2009 Sony Music RCA 88697 609001
2010 Sony Music RCA 886977 208218 - Doppio LP a 45 giri
2015 Sony Music - Le grandi Collezioni Mondadori - con libretto inedito
TC1006 Prod. Ass. versione ST7
(clicca x ingrandire)
(grazie a Barbara)
Versione ST8
(clicca x ingrandire)
(grazie a Tizian Di Betta)
Gruppo Editoriale L'Espresso -2
SONY BMG 88697454672
clicca x ingrandire
2009 Sony Music RCA 88697 609001
Su vinile giallo
Versione a 45 giri su 2 LP
NOTA 1: A volte questo disco viene considerato il "Volume 2" esistono però sotto questo nome, anche
riedizioni di altri dischi di De Andrè del periodo Karim. Vedere su FDA 72-73
NOTA 2: Scoperto negli Usa inedito di De André. Canta in inglese "Tutti morimmo a stento"
L'articolo: http://www.repubblica.it/2007/09/sezioni/spettacoli_e_cultura/de-andre-inedito/de-andre-inedito/de-andre-inedito.html
From: cleopatra <cleo.patra@tiscalinet.it>
Reply-To: fabrizio@yahoogroups.com
Subject: [fabrizio] Ballata degli Impiccati
Date: Mon, 06 May 2002 21:21:35 +0200
é una delle poche canzoni rabbiose di Faber, questa. Forse l'unica. Di solito Faber è spietato ma con distacco, mai con rancore. I suoi personaggi, morti - perché son quasi sempre morti, o fermi, o comunque lontani dalla realtà - sono in genere rassegnati, e ci raccontano la loro vita, le loro piccole passioni, e con una feroce ironia anche il momento della loro morte.
Gli impiccati, anonimi, muoiono nel momento in cui cantano, e cantando non riescono a perdonare, ma soltanto a lanciare invettive, contro il mondo intero.
è una canzone che ho sempre ascoltato con disagio - e cantato sottovoce.
Possibilmente leggevo le parole, ma non avevo il coraggio di pronunciarle.
Stasera l'ho cantata. E ho pensato che ognuno di noi in qualche momento nella sua vita ha bisogno di dire parole come queste. Non perché si senta pendere da un ramo. Ma perché ognuno degli impiccati che dondola ha più vita di tante persone vive, e cerca di rimanerci attaccato con l'ultimo fiato, con l'ultimo respiro. A volte l'unica cosa che ci spinge ad andare avanti è la rabbia, il rancore sospeso, che non ha l'odore del sangue rappreso ma magari di un dolore lontano, che non si è mai cicatrizzato.
Nessuno di noi ha paura delle proprie ferite, di quelle più profonde, che non mostra, e che lo spingono ad andare avanti, a scalciare, a combattere, a riprendere fiato.
ciao Franco,
Lilia
La mia pagina!
http://web.tiscalinet.it/cleoo
Tutti morimmo a stento - Note inseritre nel disco -
Nel primo dopoguerra sorse a Genova, nel quartiere della Foce, una singolare
istituzione. Alcuni ragazzi del rione decisero di creare un'opera assistenziale a favore dei gatti randagi. Li raccoglievano per le strade e li ricoveravano, volenti o nolenti fra le macerie di una casa bombardata. Mettendo
a saccheggio le dispense materne: rifornivano i foro ospiti di ogni-ben di Dio, e ben presto, fra le macerie dell'improvvisato asilo, sorse la più florida comunità di gatti che mai sia esistita.
Capo
dell'istituzione era Fabrizio, che a quell'epoca ottenne presso i gatti genovesi la stessa incondizionata ammirazione che oggi gli viene tributata dai « patiti » delle sue canzoni.
L'accostamento è
legittimo, anche perché enucleando un aspetto della personalità di Fabrizio uomo, chiarisce molte cose sul Fabrizio poeta. 1 gatti randagi di ieri cantano ancora nelle sue canzoni, popolate di creature sconfitte, lasciate ai
margini della società ed alle quali egli vuoi riconoscere, anche polemicamente, come agli animali affamati della sua-infanzia, quella dignità umana negata loro dalla gente per bene.
E' affollato, il suo
mondo_poetico, di gatti che hanno fame (di pane, di pietà, di amore): da « Miché » a « Bocca di rosa », alla fauna notturna de « La città vecchia » o di
Via dei campo,», ai negri di « Spiritual » che
continuano ad attendere che Dio si accorga di loro, al suicida di « Preghiera in gennaio », ai protagonisti de « La ballata dell'eroe », « La guerra di Piero », < La ballata dell'amore, cieco ».
C'è bisogno di tanta pietà, per i gatti randagi come per gli uomini, vuoi dirci Fabrizio. E per dircelo ha raccolto tutte le folgorazioni le, angosce, i tremori delle sue canzoni precedenti, per scrivere questa
cantata che è anche - e soprattutto - una galleria di personaggi, un vasto mosaico sulla solitudine e sull'infelicità dell'uomo. Ancora una volta Fabrizio ha dato la parola ai gatti randagi, perché la gente capisca e
tragga le debite conseguenze. Ecco perché « Tutti morirono a stento » è un messaggio di disperato amore, per tutti i diseredati cui una specie di morte morale impedisce di recuperare il perduto gusto della vita.
E
proprio la morte (come negazione della vita, ossia della dignità, della felicità, di tutto quanto gli antichi comprendevano nel termine « humanitas »), fornisce il fondale inquietante di questa cantata, un polittico che
allinea tutto il triste campionario di un'umanità derelitta: tossicomani, impiccati, bimbi impazziti negli agghiaccianti « jeux interdits » di uria guerra apocalittica, adolescenti traviate, falsi babbi Natale che
cercano nell'amore di fanciulle ancora pure il brivido dimenticato della gioventù. Su tutti alleggia, nel dolente racconto dell'autore, la consapevolezza dei proprio peccato e dell'impossibilità a riscattarsene,
l'avidità di luce e di quiete cui fa riscontro la condanna all'ombra e al tormento.
Così nel canto dei drogato (chi / e perché mi ha messo ai mondo / dove vivo la mia morte / con un anticipo tremendo?) che
nell'euforia illusoria dell'allucinogeno cerca
invano l'antidoto al proprio vuoto interiore: « Ho licenziato Dio / gettato via un amore / per- costruirmi il vuoto / nell'anima e nel ' cuore... » e poi:
« Gli arcobaleni d'altri mondi / hanno colori che non so / lungo i ruscelli d'altri mondi / nascono fiori che non ho », impossibile speranza in una felicità che stia « oltre il confine stabilito >, oltre la
coscienza umana, oltre « i bordi dell'infinito ».
Così ancora nella amara « Leggenda di Natale », la storia dei vecchio riccone che abusa dell'innocenza di una fanciulla per allontanare da sé lo spettro
incombente della vecchiaia: « E venne l'inverno che uccide il colore e un babbo Natale che parlava d'amore / e d'oro e d'argento splendevano i doni ma gli occhi eran freddi, e non erano buoni... E mentre
incantata io stavi a guardare/ dai piedi ai capelli li volle baciare ».
Un mondo, insomma, che ripugna alla fredda e asettica morale di chi giudica prima di comprendere e di compatire (ed è la morale dei più) ma sul
quale si china pietoso Fabrizio. E a differenza della morale dei più, la sua morale è sempre giustificatrice, mai giustiziera. Per lui tutti hanno diritto a salvarsi, « perché non c'è l'inferno / nel mondo dei buon
Dio ».
Ma come salvarsi, se ogni rivalsa sulia naturale caducità delle cose e dei sentimenti finisce per rivelarsi impossibile? E' vero che alla solitudine può anche seguire l'amore, che all'inverno
finisce per sostituirsi la primavera. (« Ma tu che vai, ma tu rimani / anche la neve morirà domani / l'amore ancora ci passerà vicino / nella stagione dei biancospino »); ma altri inverni sopraggiungeranno, anche
l'amore finirà: « Ma tu che stai, perché rimani? / Un altro inverno tornerà domani / cadrà altra neve a consolare i campi / cadrà altra neve sui camposanti ».
Insomma, è la mancanza di pietà che trasforma
la nostra vita in un lungo cammino di morte. Il tema affiora nella , Ballata degli impiccati », ai quali non è stata concessa possibilità di redimersi, per i quali « il prezzo fu la vita / per il male fatto in un'ora
»; o nel « Marcondiro'ndero >> una delle pagine più intense e drammatiche dell'intera cantata. Vi si narra come la spietata (appunto) follia dell'uomo abbia scatenato la guerra atomica, e di come la terra
ne si andata distrutta. Solo i bimbi sono rimasti vivi, a continuare un assurdo girotondo che li trascina, gradualmente, alla pazzia. E su tutto aleggia un terribile monito, « chi ci salverà? ».
Dunque, vuole dirci
l'autore, non c'è speranza nell'uomo, se non nell'amore che uccide l'odio, nella carità che uccide cupidigie, e rancori, e ingiustizia. Abbiano pietà coloro che stanno in alto, che hanno gloria, potenza e
ricchezza. Abbiano pietà di chi conosce dolore e di chi conosce l'errore, affinché per tutti - se lo vorranno - si apra la strada dei riscatto. I potenti, rammentìno che la felicità non nasce dalla ricchezza né dal
potere, ma dal piacere di donare. E che la morte è rimorso, per chi non ha saputo aprirsi, in vita, alla compassione. Per chi non ha saputo amare i gatti randagi.