Anime Salve

1996. Anime Salve

1 – Prinçesa
2 –
Khorakhanè (a forza di essere vento)
3 -
Anime salve 
4 -
Dolcenera
5 -
Le acciughe fanno il pallone
6 -
Disamistade
7 -
A cùmba
8 -
Ho visto Nina volare
9 -
Smisurata preghiera

Sull'album:
Fabrizio non era assolutamente convinto dell'impostazione degli arrangiamenti. Ancora Fossati: "Sai, facevamo lunghe discussioni sul fatto che il pianoforte ci dovesse apparire, in un disco così; Fabrizio era convinto di no, il pianoforte era per lui uno strumento colto, non popolare, quindi in certi momenti poteva stridere con l'intenzione di alcune canzoni. Io a mia volta sostenevo che non ci si poteva fermare davanti a divisioni di questo tipo.... [...] Ma più che scontrarci, che è quanto tutti in fondo hanno pensato, abbiamo fatto un grande tiro alla fune. Sai, proprio, due begli asinoni con i piedi puntati, uno contro l'altro. Non siamo mai venuti meno a una regola di cordialità e amicizia ma il tiro alla fune c'è stato, micidiale." (Ivano Fossati intervistato da Riccardo bertoncelli in Belin, sei sicuro? Giunti, Firenze, 2003)
Lo stesso Fabrizio, in più di una circostanza, spiegò la situazione sulla stessa falsariga: "non è un mistero per nessuno che Ivano ami soprattutto il jazz, mentre io prediligo la classica. Ma litigare con lui è assolutamente impossibile. Dirò di più: questo è l'unico punto su cui, entrambi, siamo in totale disaccordo con quel che afferma Bufalino: 'Non si può diventare amici se non si è coetanei'. Non è così. Io ho una decina d'anni più di lui, ma riusciamo ugualmente a stimarci e apprezzarci. Lui sopporta di buon grado le mie geremiadi sui disastri della prostatite, e io tutte le sue disquisizioni a proposito di nuovi amori e nuovi viaggi. A un'amicizia disinteressata, non si può davvero chiedere molto di più".  (A. Podestà, Fabrizio De André: Quattro mani per nove ballate, "L'Espresso", 19 settembra 1996)

Quest'opera rappresenta la summa della continua evoluzione dell'artista De André, come ebbe modo di ben illustrare in una intervista a Cinzia Marongiu: "La ricerca di Anime Salve arriva da molto lontano, dall'attenzione che ho prestato nel volgere degli anni alle esperienze altrui, da tutti i musicisti e gruppi con cui ho collaborato. A partire da Reverberi e dai New Trolls per arrivare a Fossati e Milesi, attraverso il confronto con Piovani, Bentivoglio, De Gregori, Bubola, Pagani e la PFM. Ognuno ha portato il suo contributo, facendo sì che in questo disco si riunissero diverse tendenze e svariati generi" (Cinzia Marongiu, Le anime di Fabrizio, "TV Sorrisi e Canzoni" 7/11/1996 in G. Harari, Una goccia di splendore, Rizzoli, 2008)
"Quelle minoranze di cui parlavo già ne Le nuvole (Le nuvole si divide in due parti, nella prima parla il potere e chi lo sostiene, nella seconda chi il potere lo subisce), in Anime salve stanno diventando una maggioranza. C'è una spaccatura: da una parte ci sono le merci e il denaro, dall'altra c'è l'economia del dono e dello scambio. Adorno diceva che è giusto produrre per vivere, non vivere per produrre. Penso ad esempio ai Paesi asiatici, dove interi popoli sono costretti a produrre enormi quantità di beni a basso costo per poter sopravvivere. Quando questa contraddizione diventerà anche per loro inaccettabile, il sistema capitalistico avrà enormi contraccolpi, probabilmente si sfascerà." (Gianni Perotti, Intervista a Fabrizio De André, "Re Nudo", Marzo 1997 in C. Sassi-W. Pistarini, De André Talk, Coniglio, 2008)

Gli arrangiamenti: La voce di Fabrizio
Diceva Piero Milesi che la voce di Fabrizio, così particolare, era in grado di scendere a livelli incredibili. Per essere sicuro di quello che diceva l'ha fatta "misurare", ed ecco i risultati (un grazie a Piero Milesi per l'autorizzazione all'uso delle immagini). Siamo su Disamistade. Sul finale di alcune parole:
la parola "sanguE":1sanguE

la parola "resA":
2resA

la parola "sospesA":
12sospesA

 

Princesa:
Princesa - il film ispirato dal libro_2
Il libro su Princesa ispirò anche il film omonimo.
  

 

 

 

 

 

 

 

Khorakhane
E' ovvio che con questa canzone Fabrizio De André sollecitò anche reazioni negative, da chi non vede di buon occhio la presenza di questi "diversi" in Italia:  "E poi. arrivano anche certe lettere...". E De André ne racconta una che viene da Verona, feroce con gli zingari e con lui che li canta nel disco. "Non è anonima, per fortuna. Risponderò. Spiegherò che gli zingari sono stati raccontati persino da Erodoto, che non hanno mai fatto guerre a nessuno, che la Mercedes taroccata è tutto quello che possiedono. Che sentono l'impulso primario al saccheggio, di cui parla Campbell, ma che non hanno mai rubato milioni alle banche. E aggiungerò che non ho mai visto una zingara battere il marciapiede a differenza delle nostre donne. Dirò, educatamente, che non sono abituato a prendere le cose alla leggera e che se decido di parlare dei nomadi in una canzone, prima mi informo. Spero lo faccia anche il signore che mi ha scritto. Si sono incattiviti i vecchi benpensanti dei miei primi dischi, ora che gli hanno toccato anche la tasca. Questo signore. per esempio. ha allegato pure duemila lire per umiliarmi, per essere sicuro di ottenere risposta. Mi auguro che la prossima volta quelle duemila lire le metta nella mano di una zingara, senza storcerle il polso... Spesso si odiano le cose soltanto perché non le si conoscono". (Cesare Fiumi, Io che vivo fuori dal gregge, Corriere della sera magazine, Febbraio 1997)

 

Dolcenera
dolcenera CD singolo distribuito come promo_3Di Dolcenera venne fatto un CD singolo promozionale da distribuire alle radio.

Un commento di Bronzino: Un amore "dal mancato finale", un amore "splendido e vero", per l'intensità dei sentimenti provati, ma è un amore vissuto con ansia, paranoia, senso di colpa, egoismo tirannico, tutti elementi che mal si conciliano col concetto di amore che, di fatto, dovrebbe renderci anime migliori, superiori, più forti e più lucide. Per amore dell'altro in questa storia si perde la lucidità di capire oggettivamente che cosa sia quell'acquazzone in quel momento.
Dapprima viene avvertita come una minaccia, ma rivestito di significati metafisici, quindi viene totalmente annullata, in virtù di una sottovalutazione che alla fine sarà fatale. La conclusione è che la solitudine la si può anche subire involontariamente, se non, addirittura, desiderarla. Ma fu bell'amore? Apparentemente sì, "così è se vi pare", direbbe Pirandello; un amore "da potervi ingannare", canta Faber." (Giovanni Bronzino nella ML su Fabrizio, raccolta in www.viadelcampo.com)
Probabilmente posteriore è invece l'appunto scritto a mano su un foglio intitolato Dolcenera e pubblicato su Una goccia di splendore si legge: "Metafora sul potere che non desidera avere contatti diretti con il circostante ma godere dei propri privilegi per constatarne l'assoluta inesercitabilità. Oppure la storia di un pazzo, di un paranoico che vive un'illusione fino a renderla vera mentre all'intorno la vita, lo spettacolo dei vivi, si dà da fare, si aiuta nel momento di difficoltà." (G. Harari, Una goccia di splendore, Rizzoli, 2008)

DOLCENERA: LE INQUIETUDINI DEL CIELO di Laura Monferdini
Nell'Ottobre del 1970 ero una bambina di poco più di sei anni, da qualche giorno avevo cominciato la prima elementare, abitavo sulle alture di Sestri Ponente, a poche centinaia di metri da Via Merano, la strada principale che collega ancora oggi la popolosa delegazione del Ponente con Pegli e Voltri
I miei genitori ricordano che in quell'anno, il mese di Settembre era stato particolarmente mite ed asciutto , tanto che cominciavano a scarseggiare gli approvvigionamenti idrici e già si parlava di razionamento dell'acqua  ma con l'arrivo di Ottobre si annunciava l'arrivo di alcune perturbazioni da Ovest che avrebbero portato il maltempo sulla nostra regione e la fine delle preoccupazioni di tutti legate alla siccità.
Quel 7 di Ottobre, un'insolita calura opprimeva la città, le previsioni segnavano forti rovesci, che avrebbero dovuto risolvere i problemi legati allo scarso livello d'acqua dei bacini artificiali come quello del lago del Brugneto e di quelli del Gorzente.
Un forte vento di scirocco fece presagire il maltempo imminente ma contribuì altresì a bloccare il movimento della perturbazione che avrebbe poi generato la terribile alluvione dei giorni successivi.
In serata cominciò a piovere su tutta Genova, temporali sempre più violenti; dal terreno secco dei giardini e degli spazi verdi cittadini prese a salire un odore forte come d'estate dopo un temporale che spezza la calura,  poi il rumore dell'acqua diventò sempre più intenso, incessante.
Squillò il telefono in casa nostra, erano circa le 21.00, la zia di mia madre che abitava a Voltri, agitatissima e con la voce rotta dal pianto, ci avvertiva che il torrente principale della delegazione, il Leira , che scorreva davanti a casa sua, aveva da poco rotto gli argini e che l'acqua fuoriuscita violentemente, arrivava quasi fino al primo piano delle abitazioni di Via Lemerle e di buona parte del centro del Ponente genovese dove si stava quindi rapidamente consumando una tragedia che sarebbe rimasta impresa nella memoria di tutti i Genovesi.
Se si analizza l'orografia del territorio ci si accorge che, nello spazio di poco meno di 20 chilometri il Leira, ancora oggi, supera un dislivello di notevoli proporzioni passando da un percorso a 700 metri di altitudine fino allo sbocco in mare; sembra non avere affluenti lungo il suo tragitto ma non appena comincia a piovere si formano una serie di rigagnoli naturali impossibile da quantificare così come è difficile determinare la portata delle loro acque.
Quel giorno a Voltri si verificò una tragica fatalità, le abbondanti precipitazioni cadute fin dalla prima serata sulla città e sulle sue delegazioni, crearono, complice un carico di legname abbandonato nel letto asciutto del torrente e travolto dalle acque di piena, un pericoloso sbarramento contro il ponte della ferrovia.
Le acque salirono velocemente, impetuose fino alla tracimazione del fiume e la pressione creatasi provocò il crollo dello stesso ponte con le conseguenze che è possibile immaginare.
Nell'arco di una decina di minuti le vie di Voltri furono invase dalle acque melmose, senza risparmiare case, uffici, negozi e trascinando in mare auto, suppellettili e ogni sorta di rottame e travolgendo inesorabilmente molte persone che non riuscirono a trovare scampo da quell'inaspettata alluvione.
Nell'ospedale vecchio di San Carlo l'acqua arrivò a sfiorare i 2 metri d'altezza e raggiunse i 3 metri nella Chiesa di Sant'Ambrogio, a poche centinaia di metri dalla foce del torrente.
In alcuni esercizi commerciali come nel vecchio forno della "Marinetta" conosciuto ed apprezzato per la sua ottima focaccia alla genovese si consumò una tragedia, suocero e genero, che avevano montato le saracinesche per impedire all'acqua di entrare, furono travolti dalla piena del Leira che sfondò vetrine, porte e travolse i due uomini, i cui corpi sarebbero stati ritrovati giorni dopo, l'uno in un cantiere lì vicino e l'altro sepolto sotto mezzo metro di fango dietro il forno. La stessa sorte disgraziata la ebbero il proprietario di un bar accanto e la moglie.
Ovunque c'era un mare di fango, alla foce del fiume tracimato violentemente, emergeva solo il Palazzo del Comune, i detriti trascinati a valle dalle acque impazzite del Leira avevano creato una sorta di sbarramento che aveva contribuito pesantemente ad originare quel disastro.
Della situazione di incuria, tempo dopo,  furono imputati gli Ingegneri del Genio Civile e dei Lavori Pubblici del Comune di Genova, ma ormai la tragedia si era consumata, difficile da dimenticare quei momenti in cui ogni cosa, persone e cose erano state annientate da una forza inarrestabile.
I nostri parenti se la cavarono con tanto spavento ma fortunatamente senza alcun danno, il Leira era arrivato all'altezza del loro balcone al primo piano del palazzo, tanto che avevano provveduto a spostare una parte del mobilio della cucina e del salotto in altre stanze, nel tentativo di proteggerli dall'acqua che avrebbe potuto anche cominciare ad entrare in casa; fortunatamente anche la loro automobile si salvò essendo parcheggiata in Via Buffa, sulle alture alle spalle di Via Lemerle a poche centinaia di metri dalla Marinetta e dalla zona più colpita dal disastro.

Nell'arco di poco meno di 24 ore sul centro di Genova erano caduti circa 580 mm. di pioggia e oltre 950 mm. nelle periferie e si contavano, dalle notizie dei media, almeno 25 vittime dei disastri provocati dall'alluvione.

Benché la città fosse abituata alle periodiche grandi piene dei suoi fiumi, dal Bisagno al Polcevera e dal Leira a Ponente, non riuscì a reggere un così grande afflusso d'acqua in poco tempo; all'evento eccezionale si unì anche l'incuria umana, la vergognosa sporcizia dei letti dei torrenti, la cui piena fu una delle ragioni principali del disastro e che non furono monitorati con la dovuta attenzione pur sapendo che il loro corso avrebbe creato problemi soprattutto in regime di precipitazioni violente.
Le vittime, trascinate via dalle acque di piena dei fiumi fuoriusciti dagli argini, travolte dal fango e dai detriti si contarono soprattutto a Voltri e nei dintorni, in Valpolcevera e in Val Bisagno.
Il giorno successivo, l'8 Ottobre, la pioggia continuò a cadere copiosamente, la mia vicina di casa prossima al parto fu portata via d'urgenza con le doglie verso l'Ospedale di Sampierdarena, sua figlia nacque sull'ambulanza ferma a Cornigliano ed impossibilitata a procedere per gli allagamenti in corso se non dopo estreme difficoltà.
Ricordo che fui molto colpita da quell'evento, la piccola, figlia della fortuna e delle acque minacciose godette da subito di ottima salute ed arrivò al reparto maternità qualche ora dopo la sua venuta al mondo , il Secolo XIX riportò la notizia vista; fu un evento eccezionale, una luce di speranza nella tragedia di quei giorni in cui tante persone persero la vita.
Mio padre in quei giorni non riuscì ad andare al lavoro, da dove abitavamo noi, sulle alture di Sestri Ponente, raggiungere Piazza De Ferrari si rivelò un'impresa impossibile; seguivamo la cronaca degli eventi cittadini alla radio e alla televisione e già intorno alle 15.00 di quella giornata, dopo il Leira, straripato la sera precedente, anche il Bisagno ruppe gli argini causando gravissimi danni a cose e persone ma anche il condotto di sotterraneo del fiume esplose facendo saltare i lastroni in Viale Brigata Bisagno e Viale delle Brigate Partigiane sotto le quali scorreva.
Le acque raggiunsero in poche decine di minuti Piazza Verdi e sia Corso Torino che Via Casaregis e le strade adiacenti furono invase dal fango e dai detriti che trascinarono con sé anche le auto che trovarono lungo il percorso, alcune delle quali finirono addirittura in mare nella zona della Foce.
La città era provata, le case e i negozi devastati, i Genovesi raccolsero le forze e subito cominciarono a darsi da fare per attivare la macchina dei soccorsi, dai Vigili del fuoco ai volontari, tutti intervennero in aiuto della popolazione attonita.
La geografia cittadina lasciava spiazzati, in Piazza De Ferrari, a poche centinaia di metri da Piazza Verdi sembrava che l'alluvione che aveva colpito duramente molti quartieri non fosse mai arrivata, dal Ponte Monumentale in poi, a metà della stessa Via XX Settembre, la situazione  cambiava rapidamente, sembrava di essere proiettati in un altro mondo.
Salite e discese della nostra città contribuirono ad evidenziare una geografia del capoluogo differente, alcuni quartieri interamente invasi dal fango e semi sommersi, altri miracolosamente all'asciutto.
In quella situazione di emergenza tutta le rete dei trasporti andò in tilt, dalla ferrovia, all'autostrada, all'aeroporto stesso; le scuole rimasero chiuse per alcuni giorni e si registrarono problemi anche nelle comunicazioni telefoniche e nell'erogazione dell'energia elettrica per i danni alle centraline.
In tutta quella confusione, nel dolore per le perdite subite, nel desiderio di portare il proprio aiuto a chi aveva vissuto la tragedia da vicino, mio nonno, fece più volte la spola tra Sestri Ponente e Voltri, rendendosi conto di persona della tragedia che aveva colpito tanta gente.
Dalle nostre parti, oltre al Rio Molinassi, le cui acque fuoriuscite dal loro letto allagarono Via Merano facendo saltare i tombini di tutta Via Sant'Alberto  si ebbero problemi con il torrente Cantarena ed con il  Chiaravagna intasati dai detriti  ma ci si poté ritenere fortunati in quanto non ci furono vittime.
Nei giorni successivi, grazie ai soccorsi ed all'aiuto di centinaia di volontari provenienti da tutta Italia, la situazione cominciò lentamente a migliorare, da Ponente al centro città si cercò di liberare strade e negozi dalla melma accumulatasi; si seppellirono mestamente i morti, per i quali è il caso di dire che la tragedia "piovve" addosso come un fulmine a ciel sereno spegnendo le loro vite.
Ovunque ma soprattutto in centro, i negozianti presero a svendere la merce "alluvionata" ed io ero felicissima nel vedere tornare a casa mio nonno con una incredibile quantità di dischi di fiabe completamente infangati che ripulivamo meticolosamente e con mille accorgimenti con la mamma prima di ascoltarli.
E che dire delle cravatte multicolori che a lui piacevano moltissimo e che portava a mia nonna perché le facesse tornare come nuove; alcuni di questi oggetti li conservo ancora oggi, come per scongiurare un ritorno alla malasorte che "ammazza e passa oltre" incurante di chi trova sul suo cammino.
Nella mia ingenuità, passata la paura ed il cordoglio per chi scomparve inghiottito dall'acqua e dal fango, quello fu il ricordo più bello che conservo gelosamente nel mio cuore.
        
Laura Monferdini


 

Disamistade
Link all'articolo di la Repubblica del 15/9/1994 annotato da Fabrizio De André, http://www.fondazionedeandre.it/disamistade_repubblica.htm


Disamistade in lavorazione_2Disamistade in lavorazione.002.correzioni di Fabrizio e di Milesi_2Il testo completo della versione di Disamistade in lavorazione (immagini by Piero Milesi). Fabrizio cantava nel bagno di casa di Piero, che aveva attrezzato una sala di registrazione in casa sua. Ogni tanto faceva delle correzioni al testo o, se stava cantando, chiedeva a Piero di scrivere le correzioni sui fogli

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A cumba:
 disco dei Kodo da cui venne tratto un frammento di percussioni per a cumba_2Il disco dei Kodò da cui venne tratto un frammento per le percussioni di questa canzone
Informazioni sui Kodò tratte da http://en.wikipedia.org 

 

 

 

 

 

 

Ho visto Nina volare -
Fabrizio De André, a proposito dei bambini e della loro capacità di crescere anche in situazioni difficili ebbe a dire, durante una intervista: "Sono indubbiamente dolorose le solitudini dei bambini, però credo e sono convinto che l'infanzia si difenda meglio dalla maturità, di fronte ai disagi, di fronte alla sofferenza, alle difficoltà... penso che i bambini sappiano rispondere meglio. Io ho visto dei bambini con scatole di lucido da scarpe, completamente isolati e assenti dal circostante umano, ma con ogni probabilità, in contatto con qualche cosa di molto superiore, ecco..." (intervista a Radio Italia durante il tour Anime Salve, 2/1997)

 

Smisurata preghiera
Rispetto alla solitudine di chi è emarginato... "La mia semmai è una solitudine molto meno sofferta, perché me la sono cercata proprio io, e forse proprio grazie a questa in fin dei conti ho avuto fortuna, anche perché io temo moltissimo le associazioni umane soprattutto come potrei chiamarle diversamente le piccole società o le grandi società voglio dire le organizzazione ecco... dell'uomo." (intervista a Radio Italia durante il tour Anime Salve, 2/1997 in C. Sassi – W. Pistarini, De André Talk, Coniglio editore, 2008)
"La musica dell'intero CD segue il nomadismo delle parole (italiano, romanes, brasiliano e genovese) e dei personaggi attraverso l'impiego di strumenti di diversa origine organica e di varia geografia conferendo all'intero lavoro i connotati di un linguaggio sincretistico dalle sonorità etnico-classiche." (Dalla cartella stampa di presentazione dell'album)
A proposito invece dell'opera di Mutis: "Le idee sono espresse con precisione e con grande ricchezza di immagini, il mistero viene reso con assoluta chiarezza e questo è il genere di poesia che preferisco, da Omero a Giacomo Leopardi fino a Lee Masters e Allen Ginsberg. Non che l'avanguardia non mi interessi, ma provo meno piacere, leggendo, e soprattutto trovo che produce epigoni scadenti, le cui poesie fanno il verso alle profezie dei folli senza la vertigine di una follia originaria. Senza dubbio la ricerca è alla radice di ogni linguaggio artistico, ma ogni singola opera richiede una ricerca radicale, quindi nell'avanguardia si corre spesso il rischio di codificare un'invenzione facendone un sistema, di cadere in un cliché.
Per esempio?
E' un pò il caso di Arnold Schonberg. Prima una grande innovazione, poi, codificando la dodecafonia, uno stile senza proseguimento, isolato, sterile. Al principio degli anni Settanta, una sorte analoga è toccata ad alcuni grandi del jazz, che hanno finito per avvitarsi in un free indifferenziato. Mutis non è nulla di questo. Pur essendo un ricercatore non resta mai ingabbiato nei suoi dispositivi perché ne inventa sempre di nuovi e privilegia ogni volta la comunicazione diretta, immediata con il lettore."
(Alessandro Gennari intervista Fabrizio De André, Doppia sfida per chitarra e versi, Panorama, 8/2/1996)
summa di maqroll il gabbiere - da cui Fabrizio trasse Smisurata preghiera_2il romanzo ilona arriva con la pioggia_2Le due opere di Mutis legate a questa canzone. La SUmma, da cui sono tratti molti versi, e Ilona, da cui è stato tratto un film sui cui titoli di coda è stata posta questa canzone. Nella versione originale del film (in spagnolo), De André canta, appunto, in spagnolo.

 

 

 

 

Nel libro si legge ,a proposito della canzone Smisurata Prehiera, a  pag.306, che la maggioranza sta "china ma distante sugli elementi del  disastro,dalle cose che accadono al di sopra delle parole".
Io ho  sempre interpretato diversamente e cioè che la maggioranza sia china  sugli elementi del disastro, e distante dalle cose che accadono al di  sopra delle parole(quindi i due attributi si riferiscono a due versi  precisi e distinti).
In realtà  non cambia molto, ma mi sembra che così sia più efficace.
Secondo lei, può darsi che Fabrizio intendesse la separazione contestuale dei due aggettivi? (grazie ad Alberto Rossetti)