2005 Una raccolta di Fabrizio De Andrè composta da 3CD, 54 brani, 52 pagione di testi e foto
DISCO 1
1. Amore che vieni amore che vai
2. La città vecchia
3. Via del Campo
4. Bocca di Rosa
5. La canzone di Marinella
6. Ballata dell´amore cieco o della vanità
7. Carlo Martello ritorna dalla battaglia di Poitiers
8. La guerra di Piero
9. La ballata dell´eroe
10. Il pescatore
11. Canzone dell´amore perduto
12. La ballata del Miché
13. Preghiera in gennaio
14. Valzer per un amore
15. Si chiamava Gesù
16. Il sogno di Maria
17. Ave Maria
18. Il testamento di Tito
19. Inverno
20. Girotondo
21. Terzo intermezzo
22. Recitativo (Due invocazioni e un atto d´accusa)
Corale (Leggenda del Re infelice)
DISCO 2
1. La collina
2. Un giudice
3. Un ottico
4. Il suonatore Jones
5. Introduzione
6. Canzone del maggio
7. Il bombarolo
8. Verranno a chiederti del nostro amore
9. La cattiva strada
10. Giugno ´73
11. Canzone per l´estate
12. Amico fragile
13. Andrea
14. Volta la carta
15. Titti
16. Una storia sbagliata
17. Geordie (live, con Luvi)
DISCO 3
1. Fiume Sand Creek
2. Hotel Supramonte
3. Se ti tagliassero a pezzetti
4. Creuza de mä
5. Sidún
6. Â duménega
7. La domenica delle salme
8. A çimma
9. Don Raffaè
10. Khorakhané (A forza di essere vento )
11. Prinçesa
12. Ho visto Nina volare
13. Anime salve
14. Smisurata preghiera
15. Cose che dimentico (versione live inedita cantata con Cristiano De André )
Potete trovare un bel commento a questi CD su "Il giornale": http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=45457
RECENSIONE: di Alberto Barina (www.italianissima.net)
"...Ma se veddemu/in tu mezo du ma(/suvia a' n' unda/che nu pö turnà/sempre anà, anà, anà..." (Ma ci vedremo/nel mezzo del mare/sopra un'onda che non può tornare/sempre andare, andare, andare...).
Vorrei iniziare con queste parole, in dialetto genovese, tratte da una canzone di Cristiano De Andrè: "Sempre anà", che paiono così perfette, così emotivamente ed inconfondibilmente scritte per il padre Fabrizio.
Eccolo quindi questo continuo andare, questo sempre anà, anà, anà...in direzione ostinata e contraria, come invece suggerisce il meraviglioso titolo scelto per questo cofanetto-tributo all'arte, alla poetica, alla voce di Fabrizio De Andrè.
Padre e figlio riuniti in un magico duetto che chiude un percorso musicale tra i più raffinati, e che attraversa un arco spazio-temporale di circa trent'anni; trent'anni di musica fatta semplicemente di emozioni vere, uniche, grandi: "Qui nel reparto intoccabili/dove la vita ci sembra enorme/perché non cerca più e non chiede/perché non crede più e non dorme/Qui nel girone invisibili/per un capriccio del cielo/viviamo come destini/e tutti ne sentiamo il gelo/il gelo..."... "Cose che dimentico" ...ma che paradossalmente sembra impossibile dimenticare, che non si possono dimenticare specie se pensiamo, appunto, al patrimonio musicale che ci ha lasciato in eredità il caro amico fragile.
Scrivere, parlare di Fabrizio De Andrè non è facile, si è già detto, scritto tanto forse, oserei dire, persino troppo ed è per questo che desidero anzitutto farvi partecipi della mia esperienza personale, nella quale potrebbe pure riconoscersi qualcun altro che magari sta leggendo di sfuggita queste mie righe.
L'unico album di De Andrè che posso dire di aver acquistato, di possedere, di conoscere bene e di ascoltare sempre con rinnovato piacere è lo splendido "Anime Salve" oltre, certo, ad un'altra decina di canzoni famosissime che fanno oramai parte del bagaglio culturale di noi tutti.
Tutto qui! Non so esattamente però per quale motivo ma non ho mai cercato, né prima né dopo, di incontrare le altre sue canzoni, gli altri suoi album; non sono mai stato mosso dalla voglia di approfondire la conoscenza di questo autore, pur essendo da sempre molto curioso in fatto di musica, non so trovare una reale motivazione a quello che ora potrei quasi definire un mio semplice quanto ingenuo, stupido tentativo di... "rinviare l'appuntamento con l'autore". Temevo forse stupidamente di non comprendere la sua profondità, la sua grandezza di artista e di uomo?
Mi sembrava e mi sentivo circondato da miriadi di bocche che nel solo parlare della sua grandezza artistica finivano quasi per snaturarla, impoverirla, "commercializzarla". Forse era questo che mi spaventava? Non so, comunque posso dire che un po' mi riconosco nelle parole del poeta Mario Luzi quando afferma: "Sono invecchiato nella quasi totale ignoranza del suo talento e me ne scuso [...]".
Io ho trent'anni (almeno posso dire di essere arrivato un po' prima di Luzi) e sono dunque, per certi aspetti, un giovane "nuovo ascoltatore" e, di conseguenza, dovrei essere pure l'ultimo a dover esprimere qualche considerazione in merito, certo è che ho colto l'occasione, grazie alla grande e cara disponibilità dell'ufficio stampa della Sony/Bmg per far pace, in piccolissima ma pur sempre significativa parte, con questa mia mancanza, per porre rimedio ad una mia 'piccola ferita' che, lo riconosco, è stata grave.
Posso dunque trasmettervi anziché un giudizio tecnico (credo per altro fuori luogo), delle suggestioni, delle sensazioni scaturite dall'ascolto di questi 54 brani preziosamente riuniti e che si snodano in questi tre cd.
Si, è vero, prima ancora dei suoi testi, della sua musica, ciò che ti arriva dritta al cuore è la sua interpretazione, la sua voce (che Fernanda Pivano definisce poeticamente un "sogno ultrattereno"), una voce che appare carica, densa di una solitudine così umana (e credetemi non so trovare altre parole per esprimere una sensazione così intensa e nel contempo così difficile da spiegare); solitudine da non confondersi quale sinonimo di tristezza ma semmai fonte e forma vitale di compassione, ricca di un sommesso dolore che lo ha portato a scrivere le meravigliose "La canzone di Marinella", "Amore che vieni amore che vai", "Via del Campo" e moltissime altre, ma anche, a distanza di trent'anni, l'altrettanto suggestiva "Ho visto Nina volare". Solitudine che diventa sottile, sottilissima piega ironica ed ecco dunque: "Bocca di Rosa", "Carlo Martello ritorna dalla battaglia di Poitiers" o "Don Raffaè".
Le sue canzoni quando le ascolti, le vedi, le tocchi con gli occhi... ti passano davanti perfettamente come in una cristallina sequenza cinematografica e tu sei li assieme a lui che cammini nelle sue Creuza de mä , che ti perdi nei suoi campi di grano, così come nei suoi carruggi genovesi vividi di sguardi di meretrici e sante, sei li con lui che assapori la dimensione sacra delle tradizioni, dei ricordi, e dissacratoria allo stesso tempo, delle sue ballate che profumano di terra e pioggia, di sentieri pietrosi che si inerpicano o che corrono giù verso il mare...quadri di un impressionista musicale che lui ritrae talvolta con pennellate di voce leggera, aerea, liquida ed altre volte con un tocco più deciso, intenso, adamantino.
De Andrè ha saputo essere anche poesia politica al di là della politica, o meglio, in lui la politica si trasfigura diventando poesia, ma il bello è che le sue canzoni, ti restituiscono sempre qualcosa; tu non chiedi niente a loro, eppure loro ti danno, ritornano...inspiegabilmente indietro...
Mi piace pensare che siano messaggi (e lo sono), o forse solo... mille papaveri rossi lanciati nel mare, che prendono il largo ma che poi tornano sempre piacevolmente a riva...sta forse in questo ritornare la loro forza, la loro direzione ostinata e contraria?
Le sue canzoni nascono in quel punto indefinito in cui cielo e mare si confondono...poi l'onda, il vento di bonaccia, ce le fanno ritrovare come e forse più di prima, lì sul bagnasciuga, talvolta nelle sembianze di un pescatore intento e paziente nel cucire le sue reti, talvolta in forma di conchiglia!
"...Furono baci, furono sorrisi
Poi furono soltanto i fiordalisi..."