FAQ

Le FAQ, le domande più comuni, sono distribuite, ove possibile, nelle canzoni relative. Qui trovate i link alle canzoni che hanno una FAQ.

Quelle non relative alle canzoni le trovate direttamente qui.

 

Qui trovate:

Articolo su Cohen di Riccardo Venturi

L'illustre cugino Deandrade, di Riccardo Venturi

Dori Ghezzi racconta il "suo" Fabrizio De André, da Famiglia Cristiana

COHEN

 

Su COHEN

inviato sul ng il 15.05.99 autore: RICCARDO VENTURI

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Proseguo con le "radici" o comunque con gli autori che hanno avuto un'influenza decisiva sull'arte di Fabrizio de André.

Georges Brassens è stato l'ispiratore ed il maestro del primo De André, con le sue "storie di gente per male" e le sue ballate. Così, oltre alle traduzioni dirette, si può dire che gli interi inizi di Fabrizio sono improntati a Brassens e comunque alla canzone d'autore francese.

Quando De André orienta il suo percorso verso una forma di poesia "pura", appare sulla scena un personaggio veramente poliedrico e singolare: Leonard Cohen. Da qui le traduzioni, ma non solo; si può dire che, a partire da "Volume 8" (dove è presente "Nancy") la sottile ed inestricabile poetica coheniana prevale in De André. Da questo punto di vista, canzoni come "La Cattiva Strada", "Giugno '73" e "Amico Fragile" sono esemplari.

Leonard Cohen é nato a Montreal, in Canada, nel 1934. Di religione israelita (la stirpe dei Cohen o Qohen viene considerata diretta discendente di Aronne, il fratello di Mosé), proviene da una famiglia di origine russa e di lingua yiddish. Vive attualmente a Los Angeles.

Prima di affidarci a lui stesso per un'onirica e surreale biografia, diciamo solo che è un poeta , un musicista ed uno scrittore diviso fra estasi e tormento, che ha portato, con la sua voce roca e inconfondibile, il timbro della poesia più alta e indecifrabile sugli scaffali dei negozi di dischi. Il suo inglese endofasico pone difficilissimi problemi ai traduttori e, quindi, gli sforzi di De André sono ancor maggiormente da apprezzare (è stato l'unico a tradurre ed a cantare Cohen in una qualche lingua del mondo).
Il suo capolavoro è una canzone in forma di lettera, "Famous Blue Raincoat" ("Famoso impermeabile blu"), con la quale ha vinto il Premio Tenco; si tratta di un singolarissimo rovesciamento di una comune situazione di vita, dove un marito scrive una straziante lettera all'amante della moglie dove la presenza del "nemico" è resa con partecipazione e magnificenza e dove il sentimento verso l'antagonista è di amore, non di odio, nel tentativo di trasformare l'abbandono e la sofferenza da un lato in tolleranza e dall'altro in arte.

Cohen ha pubblicato diversi album, tra i quali ricordiamo "Songs of Leonard Cohen" (contenente "Suzanne", tradotta da De André), "Songs of Love and Hate" (con "Famous Blue Raincoat" e "Joan of Arc", tradotta da De André), "Recent Songs" e "Songs from a Room" (contenente "Seems so long ago, Nancy", tradotta da De André come "Nancy"). Fra i suoi romanzi, il più noto è senz'altro "Beautiful Losers" (tradotto in italiano come "Belli e Perdenti").

Ha vissuto a Londra, a Parigi e, per sette anni, nell'isola greca di Hydra. Qualche anno fa, a Hydra, ho avuto il piacere di visitare personalmente casa sua gentilmente invitato dalla proprietaria, sebbene Cohen non vi risiedesse più da qualche tempo. Questo, per me, ha completato i luoghi dei miei poeti in musica più amati, assieme alla Sète ed alla "Plage de la Corniche" di Brassens, ai vicoli di Genova di De André e alla Pàvana di Francesco Guccini.
Mi scuso per questa nota personale.

Dice Cohen di sè stesso:

"Sono nato a Montreal nel 1934. Studiato alle università McGill e Columbia. Vissuto a Londra come un lord, alla ricerca del bello; il mio accento mi ha aperto le porte ben sprangate dei palazzi giorgiani, ove son fiorito magnifico e scuro come Otello. A Oslo sono esistito in un manifesto nazista. A Cuba unico turista all'Avana, forse al mondo, ove ho distrutto la mia barba sulle rive di Varadero, bruciata per nostalgia e rabbia per il Fidel che conoscevo. In Grecia, ove le mie insincerità gotiche furono purgate e il mio stile purificato sotto l'influenza di montagne spoglie e di una compagna stranieria che prediligeva l'inglese schietto. A Montreal, ove ritorno sempre, scena delle strade ripide che sostengono le romantiche accademie dell'arte poetica canadese in cui ho svolto il mio apprendistato, sede della mia famiglia, vecchio come gli indiani, più potente degli Anziani di Sion, gli ultimi mercanti a prendere il sangue seriamente. Accetto denaro da governi, donne, vendita delle poesie e, se costretto, da impiegati.
Non coltivo passatempi."

Anche i dischi e i CD di Cohen non sono facilissimamente reperibili in commercio in Italia. La sua Opera Omnia con traduzione a fianco è stata però pubblicata nel 1993 dalla casa editrice Arcana ("Leonard Cohen - Canzoni da una Stanza. A cura di Massimo Cotto) nella collana "La Musa Rock" diretta da un personaggio ben conosciuto agli amanti di  Francesco Guccini, il Riccardo Bertoncelli dell' "Avvelenata".

L'illustre cugino Deandrate

From:  Riccardo Venturi <venturi@spl.at>  
Reply-To: fabrizio@yahoogroups.com  
   
Subject : [fabrizio] L'illustre cugino De Andrade  
Date:  Tue, 7 May 2002 09:52:25 -0700 (PDT)  
   
A tarda sera io e il mio illustre cugino De Andrade
eravamo gli ultimi cittadini liberi
di questa famosa citta' civile
perche' avevamo un cannone nel cortile...
(Fabrizio de Andre', "La domenica delle salme")
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Oswald de Andrade

José Oswald de Sousa Andrade (che scrisse semplicemente come "Oswald de Andrade") nacque a San Paolo del Brasile nel 1890. Essere presente alla svolta del secolo, quando aveva 10 anni, fu decisivo, come ricorda de Andrade gia' adulto: "Avevamo svoltato l'angolo di un secolo. Si entrava nel 1900..."

San Paolo si destava all'industrializzazione e alla tecnologia e si dischiudeva un nuovo mondo urbano che Oswald avrebbe presto assimilato, affascinato: il tram elettrico, la radio, il cinema, la pubblicita' col suo linguaggio sintetico.

Personalita' assolutamente poliedrica, Oswald de Andrade aveva 22 anni quando fece il primo dei suoi svariati viaggi in Europa (1912), dove entro' in contatto con i movimenti di avanguardia, ed in particolare col futurismo italo-francese; ma solo dopo dieci anni avrebbe impiegato le tecniche di tali movimenti. In varie forme divulgo' il cubismo e il futurismo in Brasile. Frattanto, nel 1911, aveva fondato una rivista umoristica intitolata "O Pirralho". Nel 1919 si laureo' in giurisprudenza presso l'universita' di San Paolo.

Il suo terzo matrimonio, con Tarsila de Amaral (1926) fu per Oswald de Andrade assolutamente fondamentale; assieme alla nuova moglie, lo scrittore lancio' un movimento umoristico-letterario, che chiamo' "Antropofagia", in cui si proponevano delle ricette per cucinare tutti i personaggi della vecchia ortodossia politica e culturale brasiliana.
Con Tarsila de Amaral torno' in Europa varie volte; ma la grande crisi economica del 1929 rovino' completamente lo scrittore.

Separatosi da Tarsila de Amaral, Oswald de Andrade strinse una relazione con la scrittrice comunista Patricia Galvão, detta "Pagu".
Oswald comincio' a frequentare riunioni del partito e operaie, ed entro' infine ufficialmente nel PC brasiliano. Dopo aver lasciato Patricia Galvão, all'eta' di 54 anni conobbe Maria Antonieta d'Alkmin, che sposo' e con la quale visse fino alla morte, avvenuta nel 1954.

Nessun altro scrittore modernista brasiliano e' piu' noto di Oswald de Andrade per lo spirito assolutamente irriverente e irridente. Le sue posizioni intellettuali sono considerate fondamentali per la cultura brasiliana della prima parte del XX secolo; la sua opera letteraria esemplifica magistralmente le caratteristiche della prima fase del modernismo.

Il suo incontro, nel 1920, con il suo omonimo Mário de Andrade, lo propose al pubblico come il poeta "futurista par excellence"; ma il futurismo brasiliano, al pari di quello russo, fu un movimento di reale rinnovamento e legato alle correnti piu' autenticamente progressiste della societa' e della cultura brasiliana.

Nel 1924 Oswald de Andrade diede inizio al movimento detto "Pau-Brasil" (dal nome dell'albero cui si deve il nome stesso del Brasile), il cui programma era quello di liberare la poesia "dalle influenze nefaste delle vecchie civilta' in disfacimento", indicando come strada da seguire un assoluto primitivismo di matrice autoctona e scevro da ogni componente falsamente "naïve".

Con la sua adesione al Partito Comunista Brasiliano, Oswald de Andrade partecipo' alla lotta operaia e antifascista negli anni che precedettero il colpo di stato del 1937; dalle colonne del giornale "O homem livre" (L'uomo libero) invitava ogni proletario brasiliano a tenere "un cannone nel cortile".

Tra il 1943 e il 1946 pubblico' i due volumi dell'opera intitolata "Marco Zero" ("Alzo zero", metafora ancora ripresa dal celebre "cannone nel cortile" di cui abbiamo parlato prima), dedicata all'analisi di stampo marxiano della crisi economica del 1929 e della societa' "paulista". Nel 1945 fu nominato ordinario di letteratura brasiliana presso l'universita' di San Paolo.

Il critico António Cándido afferma che "l'importanza storica di Oswald de Andrade come innovatore e agitatore politico-letterario nel senso piu' elevato del termine e' stata decisiva per la formazione della letteratura brasiliana contemporanea."

Tra le opere letterarie piu' importanti di Oswald de Andrade va senz'altro annoverato "Serafim Ponte Grande" ("Serafino Ponte Grande"), citato espressamente da Fabrizio de Andre' in una nota al testo de "La domenica delle salme".

Composto tra il 1925 e il 1929 (ma pubblicato solo nel 1933), "Serafino Ponte Grande" e', assieme a "Memórias Sentimentais de João
Miramar" ("Ricordi Sentimentali di João Miramar"), il capolavoro dello scrittore brasiliano. "Serafino Ponte Grande" rappresenta programmaticamente una sfida al lettore.

Si tratta di una storia di assai difficile classificazione, condotta per flash continui e, con al posto dei "capitoli", 203 frammenti organizzati come una sorta di puzzle da ricomporre; ispirata palesemente al "Tristram Shandy" di Laurence Sterne, la figura del "protagonista" (Serafino Ponte Grande, appunto) appare solo di rado e si confonde il piu' delle volte con quella di altri personaggi che sono pero' repentinamente eliminati dalla storia e che ricompaiono altrettanto repentinamente, con passaggi ex abrupto dalla narrazione in prima a quella in terza persona.

Nel testo, lettere si incrociano a pagine di giornale; dei brani melodrammatici vengono presentati sotto forma di dialogo teatrale, e ogni tanto vengono inseriti a casaccio dei lemmi di un dizionario tascabile portoghese.

Malgrado l'apparente disordine assoluto, il romanzo presenta una struttura che permette di definirlo come un libro di memorie diviso in undici "capitoli" raggruppati in tre parti:

PRIMA PARTE: Formazione di Serafino (infanzia, adolescenza, matrimonio con Dona Lalá, satira della rivoluzione paulista del 1924).
Caratteristica costante di questa parte e' l'erotismo assolutamente irriverente e sboccato.

SECONDA PARTE: Viaggi ed avventure per l'Europa e l'Oriente.

TERZA PARTE: Ritorno e "viaggio utopistico" per il Brasile. Serafino Ponte Grande attacca a cannonate un commissariato di polizia e conduce una campagna contro la stampa, i mezzi di comunicazione e il servizio sanitario. Perseguito a lungo dalle autorita', muore colpito da un fulmine durante un temporale. Dopo la sua morte, il suo segretario Pinto Calçudo si impossessa della sua nave (chiamata "El Durasno") e fonda una societa' "serafinista" utopica, intraprendendo un viaggio permanente.

Serafino Ponte Grande incarna il mito dell'eroe latinoamericano che rema costantemente controcorrente cercando di rompere le catene del conformismo e dell'ipocrisia borghese a colpi di ironia e sarcasmo; ma il suo sogno si infrange tragicamente, costringendo l'eroe all'emarginazione e all'amarezza.

In una parola, Serafino Ponte Grande viaggia "in direzione ostinata e contraria"; e, forse, da questo punto di vista "La domenica delle
salme" di De Andre', con le precise citazioni da Oswald de Andrade e dal suo principale romanzo, si prefigura anche come una sorta di
"anticipazione" di "Smisurata Preghiera".


* Riccardo Venturi - Livornese in esilio * |
* Er muoz gelîchesame die leiter abewerfen so er an îr ufgestigen ist|
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R.Vent.

Dori Ghezzi racconta il "suo" Fabrizio De André

Per gentile concessione del periodico Famiglia Cristiana, nei panni del direttore comunicazione Mauro Broggi pubblico l'articolo intervista a Dori Ghezzi su come è nata la storia d'amore con Fabrizio De André.

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Famiglia Cristiana online


DORI GHEZZI RACCONTA IL "SUO" FABRIZIO DE ANDRE' 

RICORDANDO "FABER" 

Ha raccolto 54 canzoni tra le più belle del marito nella raccolta In direzione ostinata e contraria. E qui racconta la sua vita con lui, l'amore, il sequestro, la gioia dei figli.
 

In direzione ostinata e contraria. E' il titolo di una raccolta di 54 tra le più belle canzoni di Fabrizio De André, curata da Dori Ghezzi, sua moglie e compagna "forte" dei 117 giorni terribili del sequestro in Sardegna, che ha concretizzato così, in un grande atto d'amore, una minuziosa ricerca "archeologica" per rendere omaggio all'artista più  prolifico del nostro panorama musicale.

La grande intuizione di Dori è stata quella di recuperare il suono originale che avevano le canzoni quando vennero incise la prima volta. E' nato così, dopo mesi di alchimie, questo imperdibile omaggio a "Faber" (così lo chiamavano gli amici), un vero e proprio romanzo diviso in 54 canzoni.

Dori, che è stata aiutata dall'amico di sempre, il maestro Gian Piero Reverberi, non ama pubblicizzare il suo omaggio al marito nè il suo impegno nella fondazione onlus a lui dedicata e se ha accettato di incontrarmi è perché siamo da sempre molto amici. Altrettanto amichevole era il mio rapporto con Fabrizio. Loro non si conoscevano ancora ma io, separatamente, già li frequentavo. Per Dori il tempo si è fermato, così, quando la incontro, mi ritrovo davanti la biondina dolce ma volitiva che spopolava nelle hit parade degli anni Sessanta.

 Come hai conosciuto Fabrizio?

  • "Ci siamo incontrati la prima volta nel '73 su un palcoscenico per un concerto. Poi una sera ci siamo incontrati per caso nello stesso ristorante: ognuno in compagnia di un'altra persona. Mi sono accorta che lui mi guardava e allora mi sono detta: "Se te ne sei accorta, allora vuol dire che anche tu lo stai guardando". Però non era ancora scattata la scintilla. Era il 1974, che sarebbe diventato il "nostro anno" e, ancora per caso, ci ritrovammo in casa di amici: c'erano Mina, Ornella Vanoni, Gino Bramieri, Fabrizio e io. Mina disse a Fabrizio: "Perché, tu che scrivi canzoni solo per te stesso, e noi te le rubiamo, per una volta non dedichi una canzone a una di noi?". E Fabrizio rispose: "Se mai dovessi scrivere per una donna, scriverei per Dori...". In quel momento mi sentii arrossire".

Te l'ha dedicata una canzone?

  • "Una canzone dichiaratamente no, ma sono sicura che l'abbia fatto con il Valzer per un amore che si conclude con il verso: "E per questo ti dico amore, amor io t'attenderò ogni sera, ma tu vieni, non aspettare ancor, vieni adesso finché è primavera"".

E l'incontro decisivo?

  • "Una notte di capodanno. Io canto al Lido di Genova: guardando dal mare verso la collina vedo una casa illuminata: mi dicono che è la casa di De André... Finisco la serata e verso l'alba salgo i gradini per arrivare alla macchina quando calpesto una moneta da 50 lire e mi dico: "Se a Genova, dove sono così attenti ai soldi, nessuno l'ha raccolta, allora questo è un segno". L'amuleto provoca subito un nuovo incontro: vado alla Phonorama, la più  importante sala di registrazione milanese e mi dicono che in una delle salette c'é Fabrizio che incide Valzer per un amore e poco dopo, al bar, arriva proprio lui che mugugna qualcosa sinchè non decidiamo di scambiarci i numeri del telefono. Mi saluta dicendo: "Domani ti chiamo". Credevo fosse il tipico "le faremo sapere"; invece il giorno dopo mi chiama davvero".
  •  

E che cosa accade? 

  • "Cominciamo a parlarci e a vederci sempre più  spesso, ma restiamo solo buoni amici. Lui non mi ha mai detto una parola d'amore, ma i suoi silenzi diventano sempre più  eloquenti. Morale: nasce un amore grande, grande per davvero...".

Lei, intanto diventa sempre più  popolare. Con Casatchock vende un milione di dischi e insieme andiamo a Mosca, dove Dori passeggia con una palandrana dalla quale spunta una minigonna, e i soldati che si preparano alla parata del 1° maggio le lanciano occhiate di stupore e apprezzamento. All'albergo si sparge la voce che è arrivata Brigitte Bardot e la gente si accalca. Quando l'ho raccontato a Fabrizio ci siamo fatti delle grandi risate.

"Pensa che Fabrizio la Bardot l'ha conosciuta e frequentata a Saint-Tropez... ma l'ho saputo solo leggendo un libro del playboy Gigi Rizzi".

Intanto tu accumuli successi: vinci Canzonissima cantando in coppia con Wess Con chi stai con chi sei... 

  • "Ma proprio quella sera la Rai fa sciopero e così la puntata non va in onda e la nostra vittoria viene annunciata solo nel Tg della notte!".

Fai qualche Sanremo, la tua voce diventa sempre più  "importante". Poi, nel '90 decidi di ritirarti. Come mai?

  • "Sentivo che quel mondo con me non c'entrava più. Dopo tanti guai avevo voglia di normalità. Nel 1976 rimango incinta, lo dico a Fabrizio e ho la sensazione che la notizia gli crei un po' di disagio. Allora decido di sparire. Vado in Canada e ci rimango. Ma lui mi telefona. Dice che quel figlio lo desidera tanto: o torno io o lui viene in Canada... Torno e nasce Luvi, nome che è formato dalle iniziali delle due nonne, Luisa, mia mamma e Vittoria, quella di Fabrizio. E' bellissima, ha il carattere del padre e anche un po' del suo talento. Ha cantato con lui nel suo ultimo concerto. così come nel disco c'é un duetto inedito con Cristiano, il figlio che Fabrizio ha avuto dal precedente matrimonio".

Poi il rapimento. Quei 117 giorni terribili, tenuti legati. Ha scritto Fabrizio: "Vivere a fianco per 24 ore al giorno legati, senza Dori, sarei probabilmente morto di alcol, di pessimismo, di dolore o semplicemente di autodistruzione".

 E quindi vi sposaste...

  • "Sì, a Tempio Pausania, il 7 dicembre l989. Quattro anni prima era scomparso il papà di Fabrizio che, prima di andarsene gli aveva fatto promettere di non bere più. E Fabrizio ha mantenuto la promessa. Peccato che il papà, accanito fumatore, non gli avesse fatto promettere di smetterla anche con le sigarette. Fabrizio se n'é andato per colpa del tabacco. Non ha voluto trovare la forza di smettere".

Non rimpiangi di aver rinunciato a qualcosa per amore di Fabrizio?

  • "No, lui è stato un compagno di viaggio straordinario. Un'occasione l'ho persa, ma solo per colpa mia: mi aveva telefonato Alberto Sordi perché voleva affidarmi il ruolo di sua moglie nel film Finché c'é guerra c'é speranza, interpretato e diretto da lui. Chiesi al mio agente, che allora era Ivo Calligari – lo scopritore di Caterina Caselli – di accompagnarmi. Arrivò con un tale ritardo che Sordi lo incrociammo nell'atrio dell'albergo con la valigia in mano: doveva prendere un aereo e non poteva più aspettare. Era il fatidico 1974, l'anno in cui è successo tutto. Poi Alberto mi ha telefonato e, una sera, a una sua festa, tra le centinaia di stelle del cinema e della canzone, dello sport e della televisione mi scattò una foto con la polaroid e me la dedicò. Per un attimo lo scapolone mostrava cenni di debolezza? Ma per me era solo un gioco. La mia realtà era Fabrizio". 
     

Gigi Vesigna 
 

 

LA NINA CANTATA DALL'AMICO BICIO

"Ho visto Nina volare tra le corde dell'altalena...". Esiste davvero Nina ed è esistita anche l'altalena: chi la spingeva, Fabrizio De André, ha conservato per oltre cinquant'anni il ricordo di quei giorni felici prima di raccontarli in una delle canzoni dell'ultimo disco inciso con Ivano Fossati nel 1996, Anime salve. Lei, Nina, ha saputo della canzone quando ha visto il video in Tv: "Sono rimasta pietrificata. Non vedevo Fabrizio da quando avevamo 14 anni".

Fabrizio arrivò con la sua famiglia a Revignano, la frazione di Asti dove Nina ha sempre vissuto, nel 1942. Erano sfollati. Il papà di Fabrizio acquistò una cascina e là "Bicio", come lo chiamavano tutti, fece amicizia con Nina. "Erano anni duri. E poi c'erano i bombardamenti. Una volta eravamo in un prato io, Fabrizio e mia madre, quando sopra le nostre teste passarono alcuni cacciabombardieri. Ci buttammo a terra, abbracciati forte l'uno all'altra".

L'altalena della canzone si trovava sotto il portico della casa del mezzadro, l'uomo della canzone che "mastica e sputa, da una parte il miele, mastica e sputa, dall'altra la cera".

"Aveva un'arnia", ricorda Nina. "Eravamo bambini, si giocava ai fidanzatini, a volte litigavamo anche. Una volta Fabrizio mi disse: "Se mi fai arrabbiare troppo non ti sposopiù". Si vede che l'ho fatto arrabbiare troppo".

Ma nel 1997 Fabrizio le fece una bellissima sorpresa: "Si presentò qui, senza dirmi niente. Voleva rivedere i luoghi dov'era stato da bambino. Mi promise che sarebbe tornato con Dori e i figli. Purtroppo non ce l'ha fatta. Ma "Bicio" resterà per sempre nel mio cuore".

Eugenio Arcidiacono