Scrive le sue canzoni e le incide ma non si esibisce in pubblico
Il cantautore "medioevale" Fabrizio
è lo sconosciuto più conosciuto d'Italia
Molte sue composizioni sono notissime, anche se la RAI le boccia regolarmente per il contenuto dei testi
Di Berto Giorgeri
Tra i tanti cantanti che popolano l'affollato mondo della musica leggera, Fabrìzio De André è indubbiamente uno dei personaggi più strani e inconsueti. La popolarità che questo giovane cantautore ha conseguito attraverso i suoi dischi è veramente invidiabile, però ben pochi l'hanno visto e quasi nessuno lo conosce personalmente e ha avuto modo di parlargli. La RAI boccia con assoluta regolarìtà le sue canzoni perché il testo quasi sempre racconta fatti della vita di tutti i giorni condannati da un formale moralismo; in televisione è apparso una sola volta e in seguito Fabrizio ha rifiutato sistematicamente tutte le altre offerte di tornare sul video. Grande appassionato della storia del Medioevo, fa rivivere nelle sue canzoni il fascino e il sapore musicale di quel tempo. Le sue storie riflettono stati d'animo, situazioni reali; gli aspetti più buffi o più tragici di determinate circostanze trovano nelle sue canzoni il giusto palcoscenico, dove la musica ha veramente una funzione di accompagnamento, mettendo in risalto il significato più profondo del testo. A Milano e in molte altre città sono tanti coloro che si sono divertiti ascoltando le sue canzoni cantate da altri cantanti nei cabarets. Tutti, per esempio, conoscono la storia del re che ritorna dalle crociate e che, dopo tanti anni di astinenza, costringe una contadina sua suddita a soddisfare le sue voglie, ma pochi sanno che l'autore è lui, perché la canzone veniva cantata da Silverio Pisu. Parlare con un personaggio del genere richiede un impegno non comune, almeno in partenza; viene spontaneo dare libero sfogo alle citazioni, richiamarsi ai classici, ma così facendo viene falsata la vera natura di Fabrizio, che è un ragazzo semplice, colto, intelligente, che per hobby scrive canzoni. Fabrizio è in sostanza un cantante che rifiuta le facili definizioni di "cantante bene" o "intellettuale" che gli sono state affibbiate per poterlo facilmente catalogare sotto questa o quella etichetta. Lo abbiamo incontrato in un pomeriggio di questa torrida estate in una deliziosa casetta di campagna, circondata dai fiori e dagli alberi, mentre con un paio di cesoie, usate con abilità insospettata, si accingeva alle opere di giardinaggio.
D. Perché lei non ama la pubblicità, rifiuta le interviste, vive isolato dal mondo della canzone?
R. Non è vero che io viva isolato, che non ami la pubblicità; il fatto è che la mia vita quotidiana è piena di impegni. Ho un lavoro che mi costringe a fare vita di ufficio, ho una famiglia composta di moglie e figlio, ai quali dedico gran parte del mio tempo libero, inoltre quando posso mi isolo per scrivere le mie canzoni e per leggerle. Non è vero, inoltre, che io rifiuti le interviste, lei ne è la prova. Quanto al mondo della canzone, richiederebbe troppo tempo vivere gomito a gomito con i/ miei colleghi, comunque ne conosco parecchi, soprattutto quelli che sono di Genova.
D. Perché non ha mai partecipato a un Festival?
R. Perché le mie canzoni difficilmente verrebbero accettate a un Festival.
D. Che cosa ne pensa delle varie etichette che le hanno affibbiato in questi ultimi tempi?
R. Credo che non siano esatte. Quanto meno sono state date un po' troppo affrettatamente. Non sono un «cantante bene », non sono un « intellettuale », sono soltanto uno che scrive canzoni guardandosi intorno e attingendo molto anche dal Medioevo.
D. Eppure buona parte dei suoi dischi finisce tra la «gente bene»@gente ffffffddf e gli « @intellettuali ».
R. Non soltanto lì e comunque io sono soltanto il "venditore" delle mie canzoni; se poi queste finiscono tra intellettuali e "bene" io non c'entro.
D. Lei sostiene che le storie raccontate dalle sue canzoni siano perfettamente reali?
R. Sì. Prendiamo per esempio Il testamento: rispecchia in chiave umoristica quello che avviene intorno al letto di un moribondo, dove si trovano persone che soffrono veramente e persone che invece
hanno l'intima speranza che il decesso possa riservare loro i numeri del lotto.
D. Qualche tempo fa lei ebbe una canzone di grande successo. La storia di Marinella; perché non ha continuato con quel genere, che le avrebbe
certamente dato in breve tempo una notevole popolarità?
R. Perché non mi era più venuta un'altra canzone di quel genere. Oggi, comunque, ho pronta una nuova canzone che si intitola Barbara, vicina come stile alla Storia di Marinella.
D. Abbiamo letto che la sua ultima composizione. Preghiera in gennaio, è dedicata a Tenco, che era uno dei suoi migliori amici; e
vero?
R. Preferirei non rispondere.
D. Ritornando alle sue canzoni, abbiamo l'impressione che i personaggi descritti siano degli eroi per i quali lei ha molta simpatia;
è cosi?
R. Solitamente scrivo le mie canzoni descrivendo persone che ho incontrato e che in qualche modo mi hanno interessato. Per loro invento una storia fantastica che mette in risalto le loro caratteristiche. E' vero che i miei personaggi mi sono simpatici, inoltre mi piace, nelle canzoni, salvare tutto ciò che gli altri condannano incondizionatamente per questioni di conformismo e di falsa morale.
D. Quali sono le consuetudini che lei condanna?
R. Tutte in genere, perché ritengo che in esse manchi quel minimo di fondamento sincero che le possa rendere accettabili. Credo molto nell'amicizia e nell'amore, ma in niente altro.
D. E' soddisfatto di vivere in questo periodo?
R. Sembrerà un luogo comune rispondere di no, ma rispecchia esattamente la mia convinzione. Il periodo che mi affascina veramente è il Medioevo.
Potendo conservare alcune conquiste sociali fatte nel corso dei secoli successivi, vedrei molto volentieri una società moderna ambientata nel Medioevo.
D. Quale è il sogno della sua vita?
R. Poter costruire un villaggio in cima a un monte con tante case abitate dai miei amici e soltanto da loro, con tanto verde e tanti fiori. Abolirei i telefoni, la radio, la televisione e ogni mezzo di informazione. Ai piedi del monte farei costruire un palazzo enorme dove, lì sì, metterei telefoni, radio, eccetera. Però questa costruzione dovrebbe servire soltanto come ufficio. E' un sogno, ma se la immagina una vita privata lontana dalla "civiltà " ?
(ABC – n. 35 - 27/08/1967)
"A UN ANNO DI DISTANZA MI HANNO TIRATO FUORI DALLA NAFTALINA"
Il cantante è in aperta polemica con la televisione che manda in onda proprio in questi giorni un suo show registrato la bellezza di dodici mesi or sono.
Romolo Bardi
Milano , novembre
Fabrizio De André, il menestrello dei poveri, il cantante che contesta, autore di pezzi come Marinella, Carlo Martello ritorna dalla battaglia di Poitiers, Preghiera in gennaio. Si chiamava Gesù, è al video venerdì 7, in uno « special » interamente dedicato a lui.
È la prima volta che Fabrizio De André prende parte a uno spettacolo imperniato su di lui, ma la cosa non lo soddisfa affatto; Fabrizio, anzi, non lesina le polemiche a proposito di questo programma. La trasmissione era stata infatti registrata nel mese di novembre dello scorso anno. Questo lasso troppo lungo di tempo tra registrazione e programmazione ha indispettito Fabrizio De André che ha fatto sapere alla TV che non registrerà più niente se non gli daranno ampie assicurazioni sulle date precise della messa in onda.
« È chiaro » mi spiega con foga Fabrizio De André « che non conosco i motivi veri di questo ritardo. Posso solo intuirli. Credo che sia dovuto al fatto che le mie canzoni toccano spesso argomenti considerati "tabù". I miei testi danno fastidio a certa gente... »
Siamo al « Luna Park ». Fabrizio si guarda intorno, armeggiando con una macchina fotografica. Gli chiedo se la fotografìa è il suo « hobby » segreto.
« No, niente hobby. Sto lavorando », risponde con un sorriso, « Ho in preparazione un disco sulla vita di questa gente che campa alla giornata, viaggiando da una città all'altra, vivendo in una "roulotte". È un mondo affascinante, questo. Le fotografie mi serviranno dopo, quando scriverò le canzoni, per rivedere i tipi che hanno colpito maggiormente la mia fantasia. Alcune le utilizzerò per la copertina del disco. »
« Ho capito, ma adesso torniamo al tuo "special"... »
« Vuoi la polemica, eh? », mi risponde
con una strizzatina d'occhio il cantante. « Ecco, ti accontento subito. Vedi, quando mi hanno fatto registrare questo spettacolo pensavano di farmi cantare solo i pezzi meno "compromettenti", come Marinella, tanto per fare un esempio. Io, invece, ho tenuto duro e sono riuscito a spuntarla con i dirigenti della televisione. Ho inserito nel programma alcune canzoni che reputo importanti, come La guerra di Piero e Preghiera in gennaio dedicata al povero Luigi Tenco. Però, a Roma, hanno sempre il coltello per il manico e così lo spettacolo venne "congelato" e messo in un angolo ad ammuffire. Finalmente, dopo un anno, lo hanno tirato fuori dalla naftalina, rispolverato e programmato. Purtroppo, con questo giochetto, sono riusciti nei loro intenti.. »
« Scusa, Fabrizio, non vedo come, dal momento che lo spettacolo andrà in onda... »
ribatto io.
« Ma è semplice! » esclama il cantante. « Dopo un anno lo spettacolo è diventato "vecchio". I vestiti sono fuori moda, le canzoni superate, io stesso sono cambiato, a cominciare dai capelli che oggi porto più lunghi, e con un taglio diverso. Mandare in onda uno spettacolo a un anno dalla sua registrazione, è come vedere quelle vecchie foto ingiallite dei nonni, che si tengono nel comò... »
« Dunque, avresti preferito che non avessero programmato "Incontro con Fabrizio De André ?..." »
« Be', in un certo senso sì », risponde con sincerità il cantante, soprattutto per una forma di onestà nei confronti di me stesso e dei telespettatori. D'altra parte, che ci vuoi fare? A questo punto,
interviene la casa discografica che vuole che lo spettacolo vada in onda a tutti i costi, per evidenti ragioni pubblicitarie; e ciò, unito a mille altri fattori, farà sì che io debba rivedermi in TV, con rabbia, dopo un anno... »
« Fabrizio, queste ragioni sono validissime, però non è piuttosto paura la tua? Timore di un indice di gradimento troppo basso?... »
« Questa è un'obiezione che mi è già stata fatta », risponde pacatamente De André. « In effetti io non sono uno "showman"; mi limito a cantare le mie canzoni, accompagnandomi con la chitarra. Le
mie trasmissioni non sono buontempone e spiritose come... Canzonissima... »
« A proposito di Canzonissima » riprendo io « perché ti rifiuti di partecipare a questo genere di manifestazioni? È timidezza la tua? »
« No, non è per questo. La timidezza può essere la ragione per cui non faccio serate. Alle manifestazioni sul genere di Canzonissima o del Festival di Sanremo, non partecipo per una questione di
principio. Vedi, le mie canzoni sono un mezzo come un altro per lanciare un messaggio. A questo punto, non vedo perché, per esprimere ciò che sento dentro, debba mettermi a gareggiare con altri cantanti che, per di più, non hanno
niente di importante da dire. »
Fabrizio De André da una occhiata all'orologio e mi fa capire che deve andarsene.
« Che cosa c'è di tanto urgente? », gli chiedo.
« È l'ora dello spettacolo dei delfini », risponde con un mezzo
sorriso. « Sono quelli dell'acquario di Riccione. Vuoi venire a vederli? Mi ricordano i cantanti al festival: saltano e squittiscono nella vasca, tentando di strapparsi il pesce di bocca. Loro, però, li capisco » termina sibillino
« poveretti, sono bestie...»
E si allontana con la macchina fotografica a tracolla, scomparendo ben presto dietro il telone colorato.
Fabrizio De André è in polemica con la televisione che trasmette solo ora il suo « special » dal titolo « Incontro con Fabrizio De Andre », registrato circa un anno fa. De Andre, che è nato a Genova nel 1940, è sposato e ha un figlio. Cristiano, di 7 anni. È stato recentemente premiato per la sua attività di paroliere, attività che è alla base dei suoi contrasti con la TV.
(BOLERO TELETUTTO – 09/11/1969)
"ACCONTENTARSI DI POCO PER VIVERE MEGLIO"
Questa è la morale contenuta nell'ultimo 33 giri che il noto cantautore genovese sta realizzando e che è ispirato alla famosa "Antologia di Spoon River".
Servizio di RUGGERO BOSSI
Roma, ottobre
Fabrizio De André ha lasciato moglie e figlio a Genova e si è trasferito a Roma. Fa vita da scapolo in un piccolo appartamento affittato in corso Francia. Vivendo solo soletto, cucina da sé anche i pasti.
« Come mai questa separazione? »
« Nessuna crisi coniugale, per carità! » risponde il cantante. « Lo
so che darò un dispiacere ai ricercatori di scandaletti a tutti i costi, ma io e mia moglie andiamo perfettamente d'accordo. La ragione del mio trasferimento a Roma è dovuta unicamente al fatto che sto lavorando alla realizzazione
del mio ultimo 33 giri. Un lavoro che mi assorbe giorno e notte, senza un attimo di tregua. Mia moglie mi raggiunge ogni tanto e si ferma solo per un paio di giorni, non di più ».
« Forse l'aria di Roma ti ispira più di quella di Genova, dove sei nato e dove risiedi abitualmente? »
« No, si tratta di ragioni puramente tecniche. L'ispirazione non c'entra... Sai, il mio "arrangiatore" e di Roma, così come è di Roma un ragazzo che solitamente mi da una mano a ritoccare e a limare
i testi. Così, per evitare continui spostamenti e viaggi da Genova a Roma, e viceversa, ho preferito stabilirmi qui per qualche mese ».
« E qual è questo microsolco che ti tiene tanto impegnato? »
« Non al denaro, non all'amore, né al cielo. Dalla famosa Antologia di Spoon River di Lee Masters ho tratto nove poesie, le più significative e a mio avviso le più attuali, e sto facendone altrettante canzoni che formeranno appunto il mio prossimo LP. Tu sai che nella sua Antologia il poeta americano fa parlare i morti, nel corso della notte, facendo confessare loro qualcosa della propria vita: gli episodi più oscuri, i tratti più scabrosi del carattere, cose che non avrebbero mai osato rivelare in vita. Ecco, ogni canzone del mio disco sarà dedicata ad un personaggio diverso. È, chiaro che attraverso questi esempi cercherò di mostrare alcuni aspetti della vita, quali: l'invidia, l'amore, il fallimento della scienza nei confronti dell'uomo... »
« Ma non pensi che sarà un 33 giri con una eccessiva dose di pessimismo? »
« No. Io credo sempre
nell'uomo e nelle sue risorse. Infatti ci sarà un personaggio, Jones il suonatore, che farà da contrappeso agli altri; sarà lui a indicare la vera via alla felicità. Vive in campagna, lontano da tutto e da tutti, assaporando la
meravigliosa musicalità che si esprime dalla natura. La morale del "mio" Spoon River è quindi "contentarsi di poco per vivere felici". Proprio come dice Jones il suonatore... ».
« Ma come ti è venuto in mente di fare un disco ispirato alla Antologia di Spoon River? »
« Vedi, l'opera di Lee Masters è di quelle che si leggono a 18 anni a scuola, senza capirci molto. L'anno scorso l'ho riletta, scoprendone nuovi e più profondi significati. Ecco come o nata l'idea di farne un microsolco ».
« E per quanto riguarda la tua temporanea vita da scapolo come te la cavi? »
« Be', non c'è
male. Gli sforzi più terribili debbo compierli alla mattina, per alzarmi; poi bene o male so prepararmi le tazzine di caffè, bevibile, di cui ho sempre bisogno. Anche per i pasti so arrangiarmi. Non mi piace andare nei ristoranti,
incontrare gente, parlare con questo e con quello, ma in compenso sono un cuoco abbastanza esperto. Qui, da solo, ne approfitto oltretutto per far scorpacciate di trippa alla fiorentina. A casa non posso mangiarla quasi mai perché non
piace a nessuno, ma qui... Ho anche scoperto una macelleria che vende della trippa eccezionale! Per quanto riguarda gli spaghetti al pesto, che per me, da buon genovese, sono fondamentali, mi affido al pesto che porto da casa: quando
vado a Genova me ne faccio sempre preparare un bel vaso da mia moglie... L'unico inconveniente è che si sta spargendo in giro la voce che ho il pesto. E così Paolo Villaggio, genovese purosangue anche lui, continua a piombarmi in
casa a farsi epiche mangiate di spaghetti al pesto ».
« Nostalgia della famiglia? »
« Eh, quella sì. In questo periodo, poi, penso sempre più spesso a mio
figlio Cristiano che ha otto anni e fa la quarta elementare. È una assenza che si fa sentire... Va be', comunque adesso è meglio che mi metta a lavorare... Se no che cosa ci sto a fare a Roma? A cucinare spaghetti al pesto per
Paolo Villaggio?».
(BOLERO TELETUTTO – 31/10/1971)
Senza Titolo Gianni Perotti da RE NUDO #6
Dedicato a chi non sta scappando
Dedicato a
chi crede di sapere già tutto
Dedicato a chi pensa di vivere
Trovo Fabrizio De André nel soggiorno della sua casa di Milano, che occupa saltuariamente quando non è in Sardegna a curare l'Azienda
Agrituristica. Accanto a lui, nello spettacolo, ci sarà spazio per i figli Cristiano e Luvi. Dalle vetrate del soggiorno si intravedono, in lontananza, le Alpi.
Ci sono dei divani rivestiti con tessuti di Laura Ashley,
un grande tappeto persiano, due televisioni accese ma senza sonoro, quadri, vasi cinesi, libri rilegati di rosso, una foto con Giorgio Armani in una cornice d'argento. Dietro ad un ampio tavolino di marmo intarsiato, Fabrizio De André
è seduto per terra. Dori Ghezzi mi porge un caffé d'orzo mentre Fabrizio accende l'ennesima sigaretta
---
Gianni Perotti da RE NUDO #6
Facciamo un esempio pratico: tu che sei fuggito dalla città in tempi non
sospetti, oltre 20 anni orsono, come vivi questo momento storico così pieno di contraddizioni, inquietudini, messaggi divergenti?
È tempo di nomadismo. Hanno ragione loro, gli zingari: un popolo che potrebbe veramente
scrivere un capitolo importante della storia dell'uomo. Vivono su questo pianeta da migliaia di anni senza nazione, esercito, proprietà. Senza scatenare guerre. Custodiscono una tradizione che rappresenta la cultura più vera e più
semplice dell'uomo, quella più vicina alle leggi della Natura. Ti può sembrare una visione parziale e romantica? Cerco solo di farne una lettura meno superficiale di quanto normalmente ci fa comodo. Andiamo verso un mondo di pochi
ricchi disperatamente sempre più ricchi, mentre il resto dell'umanità, quei miliardi di uomini che continuiamo a chiamare curiosamente "le minoranze", si muovono in modo molto diverso da quello che consideriamo normale. Tu vuoi un
esempio. Ecco, questi vanno verso l'abolizione del denaro, adottano lo scambio, che è già un primo passo in direzione di una maggior spiritualizzazione. Chi si deve costruire una casa si fa aiutare dagli altri, nel concreto. Senza
denaro. Ciascuno poi riceve in cambio altre cose, altri servizi, come nelle società primitive. L'uomo spogliatosi delle pulsioni economiche si spiritualizzerà di più, tornerà inizialmente verso un mondo inevitabilmente più arcaico, ma
sicuramente verso una guarigione. Poi si ripartirà di nuovo. Anche per questo, credo, oggi nascono giornali come Re Nudo. Nascono nell'ambito di una società di mutuo soccorso, per riportarci a pensare che stiamo sbagliando direzione,
che la vita non è poi così difficile da vivere, che basterebbe non complicarla, che è necessario riconnetterci con noi stessi. Non è fantasia, non è esoterismo, è saggezza. Anche questo diverso e antichissimo tipo di economia che
potremmo chiamare "economia del dono", porterà secondo me a grandi trasformazioni sociali.
In Anime Salve ci sono testi con immagini e parole addirittura dolorose per quanto secche e spietate. Cosa si muove nel tuo
profondo?
Anche nell'altro disco, Le nuvole, c'era un linguaggio crudo, ma la differenza fondamentale è che allora si ipotizzava, quasi si toccava l'esigenza di trasformazione, una trasformazione duramente
contrastata da chi non la voleva. Quindi ne parlavo ancora con astio, mentre adesso la trasformazione è in atto. Quelle minoranze di cui parlavo già nelle Nuvole (Nuvole si divide in due parti, nella prima parla il potere e chi lo
sostiene, nella seconda chi il potere lo subisce), in Anime Salve stanno diventando una maggioranza. C'è una spaccatura: da una parte ci sono le merci e il denaro, dall'altra c'è l'economia del dono e dello scambio. Adorno diceva che è
giusto produrre per vivere, non vivere per produrre. Penso ad esempio ai paesi asiatici, dove interi popoli sono costretti a produrre enormi quantità di beni a basso costo per poter sopravvivere. Quando questa contraddizione diventerà
anche per loro inaccettabile, il sistema capitalistico avrà enormi contraccolpi, probabilmente si sfascerà. Ci sarà una maggioranza che sostituirà il dono e lo scambio all'economia del profitto per potersi difendere dalla morte per
inedia. In Anime Salve c'è questa differenza; il linguaggio è aspro ma senza più astio perchè non sono i vinti quelli che parlano, ma i vincitori. Ci sarebbe poi da disquisire sul fatto che nel titolo "Anime Salve" c'è l'etimo delle
due parole: anemos e olos, spirito solitario, quindi unico, ma intero. Le Anime Salve sono in realtà i solitari, perché soltanto attraverso la solitudine penso si possa ottenere quel contatto con ciò che i Greci chiamavano l'Assoluto e
che noi potremmo chiamare Grande Mistero.
Solitudine, Assoluto, Interezza: fa tutto parte di un ossequio al pensiero di Rudolph Steiner?
Da un certo punto di vista penso che sia conciliabile
l'anarco-individualismo steineriano con quello che si può identificare con certe pratiche Zen o con il controllo della propria centratura e quindi, se vogliamo, anche con le tecniche di meditazione. L'uomo si conforta nella solitudine
per il contatto che può trovare con tutte le voci interiori ed esterne, con tutte quelle voci che gli arrivano dal subconscio e da quell'Anima Universale di plotiniana memoria. L'uomo si confronta di buon grado con la società e con i
suoi simili soltanto in occasione di un bisogno, un bisogno che può essere di tipo spirituale o materiale. Io credo sia meglio che l'uomo viva il più possibile da solo e che non faccia parte di nessuna organizzazione costituita, se non
occasionalmente. Le organizzazioni sono la morte dell'uomo perché nascondono in sé i germi della violenza. L'uomo organizzato è pericoloso, è violento.
Tra speranza e disperazione dove sta la salvezza?
Cioran, un uomo di grande lucidità, diceva che la vita, più che una corsa verso la morte, è una disperata fuga dalla nascita. Quando noi veniamo al mondo affrontiamo una sofferenza e un disagio che ci portiamo
avanti tutta la vita, quello di un passaggio traumatico, da una situazione conosciuta all'ignoto. Questo è il primo grande disagio. Il secondo, non meno traumatico, è quando ci rendiamo conto che dovremo morire. Per me questa
spaventosa consapevolezza è arrivata verso i quattro anni. L'uomo diventa "grande", diventa spirituale o come vuoi, quando riesce a superare questi disagi senza ignorarli. Ora, se a questi due grandi disagi connaturati all'uomo, si
aggiunge anche l'esercizio della solitudine, ecco che allora forse a differenza di altri che vivono protetti dal branco alla fine della tua vita riesci a "consegnare alla morte una goccia di splendore" come recita quel grande poeta
colombiano che è Alvaro Mutis.
Se ti opponi, se ti rifiuti di attraversare e superare questi disagi, per sopravvivere, ti organizzi affinché siano altri ad occuparsene, deleghi. E questa rinuncia ti toglie
la dignità, ti toglie la vita. Credo che l'uomo per salvarsi (Anime Salve) debba sperimentare l'angoscia della solitudine e della emarginazione; questo lo aiuta. La solitudine, come scelta o come costrizione, è un aiuto, ti costringe a
crescere. Questa è la salvezza.
Né moralità, né immoralità: qual è il tuo spazio?
AIo sono assolutamente contrario alla morale, a quell'insieme di leggi che una autorità precostituita impone
per far sì che la società possa avere delle connessioni, affinché la gente debba stare insieme. Sono favorevole alle leggi consuetudinarie non necessariamente scritte. Mi confronterei più volentieri in quella che definirei la "ragion
sentimentale", non con quella morale che Kant definisce "ragion pratica"; darei spazio alla creatività e ai sentimenti degli uomini, altrimenti arriveremmo a dover ipotizzare la spiritualità di un certo tipo di crimine. Si può arrivare
a chiedersi, come hanno fatto alcuni anarchici nel 1905 in Russia: «È necessario uccidere? È necessario uccidere i nostri simili che vessano gli altri attraverso regole che li portano a morire di fame? Il delitto può essere un arma di
lotta?». A questa domanda rispondevano: «Sì, è necessario, è lecito». Di pari passo si ponevano un altro interrogativo: «Esiste una giustificazione all'omicidio?», «No, ? si rispondevano ? non è giustificabile perché come si potrà mai
uscire da una prevedibile catena di odi e omicidi tra oppressi ed oppressori? Faida che porterebbe al paradosso di uccidere l'ultimo assassino?». Come si fa a conciliare questo sì e questo opposto no? I nichilisti russi superarono
questo problema in una maniera secondo me spiritualmente molto elevata: sacrificando se stessi. Dal momento che è giusto eliminare il tiranno, dal momento che non è comunque giustificabile uccidere, chi uccide deve subirne le
conseguenze, suicidandosi o lasciandosi uccidere. Secondo me all'interno di certi sistemi totalitari è un insegnamento che sarebbe opportuno far filtrare soprattutto nelle scuole. Se lo si dicesse nelle scuole, anche nelle nostre
scuole, succederebbero meno omicidi e sicuramente più mirati. Quindi non si tratta tanto di morale ma di far sì che attraverso il sentimento, sia il sentimento a decidere, anche un sentimento collettivo, comune.
Come è
giusto comportarsi quindi?
Prima di Socrate e di Gesù Cristo, erano riconosciuti quattro impulsi primari: quello della nutrizione, quello della continuazione della specie, quello al saccheggio di cui abbiamo
avuto ampie e nobili prove durante le recenti amministrazioni politiche e, strano a dirsi, l'impulso alla compassione. Io credo che sia proprio la morale, costringendo a seguire un insieme di regole di cui non si è convinti, ad avere
sopito questo meraviglioso impulso che è connaturato all'animo umano, l'impulso alla compassione. Trovo invece moralistico e ricattatorio il termine solidarietà perchè in nome di una regola o di una imposizione moralistica, si soffoca
proprio questo impulso alla compassione, termine che ci spiega come l'uomo sia già solidale, per impulso naturale.
Pensi che il mondo sia una realtà comprensibile o incomprensibile? Quali le tue certezze, quali i tuoi
dubbi?
Il mondo è e basta. Credo di potermi definire un animista. La mia religione è simile a quella dei nativi americani. Vedo un'anima in tutto quello che tocco e che guardo. Da un po' di tempo a questa
parte poi, riesco a non sentirmi più né competitivo né in conflitto con il naturale. Ogni volta che l'uomo ha voluto rendere comprensibile ciò che non lo è, come per esempio l'animo umano, allora sono sorte le scuole, le religioni, le
filosofie. Tutti tentativi di chiarificazioni che partono da assiomi, cioè da certezze o regole precostituite ma non spiegate, da cui poi nascono quelle ossessioni comportamentali che noi siamo soliti chiamare fondamentalismi.
Conosciamo solo qualcosa di molto personale, impreciso, mutevole. Solo il contatto con il sé più profondo, il contatto con la nostra indicibile profondità, porta alla comprensione e alla trasformazione di quei
disagi di cui abbiamo parlato prima. Una trasformazione che ha qualcosa anche di artistico perché porta in qualche modo a trasformare le contrarietà in qualche cosa di bello e quindi di utile. Qualcosa che trasmette il desiderio di
contemplazione.
Quel è il tuo rapporto con le nuove generazioni, con i tuoi figli?
In rapporto all'età dei miei due figli (che hanno oggi 34 e 19 anni) io allora ero poco più di un quadrumane.
Oggi i ragazzi capiscono tutto molto in fretta, è vero, però... mettendo in funzione la ragione, razionalizzando tutto, spesso perdono di vista la percezione sentimentale della vita, finiscono per perdere il cuore. Si fanno inscatolare
in questa specie di pulsione economica che porta ad una equazione pericolosamente e unilateralmente edonistica per cui "chi ha i soldi non soffre". Oppure "la vita è solo di chi ha i soldi". E questa è una terribile non verità.
Qual è il tuo rapporto con i soldi?
Inizialmente ho pensato ai soldi come ad un valido riparo dai guai della vita, un riparo dai mille pericoli del vivere. Che poi sono pericoli ridicoli: quello di
non avere, di non possedere abbastanza cose, quello di non poter avere i cioccolatini, di perdere la bambinaia, di non potersi permettere le vacanze al mare. Ma poi mi sono chiesto: non sarà che il pericolo è proprio quello di andare a
fare le vacanze al mare, di abituarsi ad alimentare dei bisogni dei quali non si può più fare a meno? Di andare dal parrucchiere, di farsi il lifting o le cure di bellezza? Non si può passare il tempo a farsi dipingere o a cambiare la
faccia!
Insomma ho cambiato il mio atteggiamento; ora non dico di arrivare alla scuola cinica di Diogene, però forse è una buona strada da percorrere. Quando la vicissitudine dei bisogni diventa una
necessità assoluta, questo sì che è veramente pericoloso. Per questo io vedo bene le Anime Salve, questa umanità che sembra galleggiare ai margini del benessere, che sta all'estrema periferia di questi bisogni. Io penso che il bene sia
proprio quello di galleggiare intorno, di muoversi ai margini, di affrontare le difficoltà giorno per giorno... solo così si riesce ad "essere". Ci sto pensando... a quei pericoli che non sono il disagio, ma la causa del disagio. Un
primo passaggio in me è avvenuto intorno al 1976 quando mi sono trovato in perfetto accordo con mia moglie nel costruire una azienda agricola, così, dal nulla. Abbiamo passato 16 anni senza l'energia elettrica, in un rudere riattato e
con un generatore di corrente. Il generatore funzionava qualche ora al giorno, alla sera accendevo le candele; prima di dormire, per leggere avevo creato sul comodino una specie di cimitero di candele; quando con l'andare del tempo e
la perdita di diottrie queste candele erano diventate veramente troppe ho buttato via i libri e ho imparato ad ascoltare la notte, a vedere senza bisogno della luce. Ho incominciato a muovermi attorno a casa con l'aiuto di pezzettini
di carta bianchi che fissavo durante il giorno come punti di riferimento. Ora ci vedo bene di notte quanto di giorno e, cosa ancora più importante per un musicista, ho imparato ad ascoltare la musica della notte, i piccoli rumori.
Senza l'elettricità ho imparato a conoscere più cose di quante ne avrei potute conoscere con la luce e lì ho incominciato a capire che tutti questi bisogni, queste necessità potrebbero essere solo la proiezione di bisogni indotti.
Alla tua domanda sul mio rapporto con i soldi ti posso rispondere con la pagina finale del romanzo Un destino ridicolo:
«Sei cresciuto in un mondo nel quale i soldi sono considerati la divinità suprema
che può trasformare d'incanto la vita in un paradiso, la chiave per soddisfare tutti i desideri, per superare ogni difficoltà. È quello che sei stato costretto a credere fin da bambino, come tutti noi che stiamo attraversando questo
secolo bugiardo. Pensa a quanto denaro viene gettato ogni giorno nel gioco, nella lotteria, nel totocalcio. Sai perché? Perché alla gente non piace vivere. Sogna il colpo grosso come un'occasione per uscire dalla vita prima che
finisca, con l'illusione di tagliare in un colpo solo tutti gli inconvenienti, le contrarietà e le fatiche. Ma è un inganno. Perché Dio ha voluto che nella vita ci fossero bianco e nero, chiaro e scuro, bene e male. Se non fuggiamo le
avversità e accettiamo di affrontare anche quello che ci fa paura, prima o poi il miracolo si manifesta e allora scopriamo che la difficoltà può trasformarsi in un'occasione, che i problemi sembravano insormontabili perché venivano
rimandati e si accumulavano nella pigrizia e nell'avidità»
In breve tempo hai presentato un libro e una raccolta di canzoni, entrambi fatti in collaborazione (con Alessandro Gennari il primo e con Ivano Fossati l'altra).
Da dove ti nasce l'esigenza di elaborare un messaggio così personale con qualcun altro?
Ho bisogno di confrontarmi non solo con la mia autocensura, ma anche con chi conosco bene, con qualcuno di cui mi
fido. Di questo sento il bisogno. Anche perché in fondo non si fa mai nulla veramente da soli. Si può scegliere di collaborare con i vivi o con i morti; ecco io preferisco i vivi , anche se so che ognuno di noi si porta dietro tutto il
suo vissuto e tutti i suoi morti.
INei tuoi testi mi sembra che tu vada sempre più in uno spazio che sta oltre i sentimenti. Non è tutto facilmente comprensibile: per ascoltarti ci vuole una certa complicità che tu
provochi mediante la voce, una voce che rende accessibili questi spazi. È quello che cerchi?
Quella che tu chiami complicità può essere la cosa indotta dalla mia voce. Una voce particolarmente evocativa e
suggestiva, di questo ne sono consapevole. Ma non l'ho inventata io, la voce, me l'ha data mia madre, ce l'ho dalla natura. Ma non faccio niente di speciale per farmi ascoltare: se qualcuno desidera ascoltare io ho delle cose da dire.
Ogni tanto le dico. Tutto qui.